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Il futuro dell’Italia, l’energia e la Cdp

Di Gianni Bessi

C’è una frase di un articolo di Paolo Pirani ospitato su Formiche.net che mi trova completamente d’accordo e che rivela come in molti stiamo convergendo su un’idea comune di strategia di sviluppo che metta al centro il settore dell’energia. È uscito da poco un mio libro, Gas naturale, l’energia di domani, che cerca di indicare motivazioni e ipotesi di azione perché questa strategia possa partire.

Del resto proprio Pirani scrive che “ci vuole un’idea alta di politica industriale per risollevare il Paese dalla poca crescita che lo caratterizza. Questa azione deve avere origine da scelte che partano prima di tutto dallo sviluppo energetico e dalla necessaria innovazione nel medesimo settore”. Aggiungendo che servirebbe creare una cabina di regia che renda più forte la filiera energia, grazie a un’efficienza operativa e nell’approccio geopolitico. Su Formiche.net sono intervenuto diverse volte per sostenere questa esigenza, indicando in Cassa depositi e prestiti la cabina di regia che serve al settore energetico per dispiegare le proprie potenzialità.

Lo stesso Pirani mi fa un grande onore rammentandolo nel suo articolo, spiegando che non abbiamo bisogno di una nuova Iri, “ma di uno strumento operativo a sostegno delle imprese che per know how sono in grado di essere competitive”. Il settore dell’energia, con la sua potenzialità come motore dello sviluppo italiano, sta giustamente attraendo l’attenzione di chi si occupa del futuro economico del Paese, in maniera super partes e senza retoriche demagogiche. Del resto un recente dossier di Mediobanca indica in quello energetico il settore che nel 2017 ha fatto registrare il volume di fatturato più alto: ai primi tre posti ci sono Enel, Eni e Gse, con rispettivamente 73, 66,9 e 31,4 miliardi di euro di giro di affari.

Si tratta di tre imprese partecipate dallo Stato e questo elemento ci aiuta ad approfondire il ragionamento, sempre in coerenza con quanto scritto da Pirani. Lo Stato deve costruire un progetto industriale di sistema che sappia valorizzare il capitale produttivo delle imprese che controlla per basarla sul loro “successo” imprenditoriale una crescita che vada a beneficio del sistema Paese. Ritengo che i nostri campioni nazionali, come i francesi chiamano le aziende di Stato, vadano organizzate in filiere complesse e articolate gestite, supervisionate dalla cabina di regia come la intendiamo io e Pirani. Cioè la Cassa depositi e prestiti.

Per concludere, la politica industriale italiana non dovrebbe essere lasciata in mano solo ai consigli di amministrazione delle imprese. O la cabina di regia ridotta a una singola convocazione a Palazzo Chigi degli amministratori delegati delle tredici società partecipate, a cui è stato richiesto solo di presentare al primo ministro una lista di investimenti: questa non è una cabina regia, come hanno titolato i giornali, ma una passerella. Servono invece concretezza e uno sguardo lungimirante con cui costruire una strategia di sistema e di integrazione. Che non si occupi solo delle performance finanziarie ma che abbia come obiettivo anche la ricaduta economica sui territori e sulle aziende che vi operano. Un rilancio vero e solido dell’economia insomma, che vada a beneficio d tutti gli italiani.

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