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Che fine ha fatto l’Unione bancaria europea?

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Nelle relazioni tra Italia ed Unione europea (Ue) il completamento dell’Unione bancaria europea (Ube) ha avuto nella scorsa legislatura un ruolo rilevante sia a ragione delle sofferenze di numerosi istituti sia a causa dei salvataggi (e liquidazioni) che si sono dovuti orchestrare. Ora l’Ube sembra sparita dall’agenda di un governo che, come priorità, ha quella di negoziare con le autorità europee un disegno di legge di bilancio definito sia dalla Commissione europea sia da quasi tutti gli altri Stati membri dell’Ue in rotta di collisione con le regole e prassi dell’Ue. Pare che l’Ube sia sparita proprio dall’agenda europea; non se n’è quasi parlato al Consiglio europeo dello scorso giugno ma il tema è stato rinviato ad un Consiglio straordinario da tenersi a metà novembre e non ancora convocato. Forse sarà all’ordine del giorno di quello di fine anno.

Andiamo con ordine. La crisi finanziaria del 2007-2008 e la successiva crisi del debito sovrano in alcuni Stati (Cipro, Grecia) hanno messo in evidenza come problemi e vulnerabilità da un sistema bancario possono rapidamente trasmettersi e propagarsi ad altre parti del sistema finanziario europeo, in particolare all’interno dell’eurozona. Per proteggere il mercato unico e garantire un adeguato presidio ai rischi per la stabilità finanziaria, nel giugno del 2012 i capi di Stato e di governo dell’area dell’euro costituirono l’Unione bancaria al fine di perseguire un insieme di obiettivi: (1) spezzare il legame tra rischio sovrano e fragilità dei sistemi bancari nazionali; (2) rafforzare l’integrazione tra i sistemi bancari in Europa; (3) dare una dimensione europea all’attività di supervisione sulle banche, attraverso un nuovo assetto istituzionale nello svolgimento dell’attività di vigilanza sul sistema bancario europeo.

Il primo elemento dell’Ube è il Meccanismo di vigilanza unico che dal 4 dicembre 2014 ha iniziato a operare attraverso l’assunzione da parte della Banca centrale europea (Bce) dei compiti di vigilanza bancaria, esercitati attraverso le Autorità nazionali. I paesi aderenti al meccanismo di vigilanza unico sono quelli dell’eurozona e quelli dell’Ue che pur non adottando l’euro abbiano comunque deciso di aderirvi. In pratica sino ad ora il meccanismo riguarda essenzialmente l’eurozona.

Nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico, la Bce esercita la propria supervisione diretta su 123 banche “significative”, pari a circa l’82% degli attivi bancari dell’eurozona. Numerosi istituti di piccole e medie dimensioni ne restano fuori. Ne risulta una certa frammentazione. La vigilanza è condotta da gruppi comuni composti da personale proveniente dalle varie autorità nazionali di supervisione bancaria e da personale della Bce. Il Consiglio di vigilanza del Meccanismo di vigilanza unico assicura la separazione organizzativa tra le attività di politica monetaria e le attività di supervisione. Il Consiglio si compone di un presidente, da un vice presidente, da 4 rappresentanti della Banca centrale europea e dai Rappresentanti delle autorità di vigilanza nazionali.

Occorre distinguere tra “risoluzione” (ossia ristrutturazione) e “liquidazione”. L’Ube riguarda le “risoluzioni” non le “liquidazioni”, assoggettate essenzialmente alle normative nazionali. Il Meccanismo di risoluzione unico è un sistema europeo per la risoluzione delle crisi di banche dell’eurozona considerate significative o di rilevanza internazionale; è molto macchinoso e molti dubitano che verrà mai applicato. È composto dalle autorità nazionali di risoluzione e dal Comitato di risoluzione unico. Il Meccanismo prevede un fondo unico per finanziare la risoluzione delle banche che sarà alimentato dai contributi delle banche stesse con un piano di versamenti annuali senza ricorso a finanziamenti pubblici.

Il single rulebook o sistema unico di regole l’insieme di norme prudenziali che regolano l’attività delle banche dell’Ue. Tali regole stabiliscono i requisiti patrimoniali richiesti alle banche per esercitare la propria attività, stabiliscono regole a garanzia dei risparmiatori, stabiliscono misure per la prevenzione e la gestione delle crisi bancarie.

L’Ube è incompleta. È rimasta uno sgabello a due gambe, con un insieme di regole comuni, un sistema di vigilanza frammentato ed un percorso per la “risoluzione” delle crisi bancarie di difficile risoluzione. Manca l’elemento essenziale perché i cittadini dell’Ue abbiano fiducia nella costruzione sino ad ora fatta: una “garanzia” europea per i depositi in conto corrente. Se ne discute sin dal 2102-2013. Sono state varie proposte e la stessa Commissione europea ha presentato diverse alternative. È il cemento – e la dimostrazione di solidarietà intra-europea – dell’Ube. È particolarmente importante per l’Italia le cui banche già azzoppate dalle sofferenze e dallo spread rischiano di grosso nell’eventualità di una nuova crisi finanziaria internazionale.

Ma l’Italia ha già tanti “problemi di comunicazione” – per usare una prosa elegante – con l’Ue che non pare voglia sollevare la questione. In caso, da quando è stato inviato il Documento Programmatico di Bilancio (OPB), gli Stati nordici chiamati la Lega neo-anseatica (Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Svezia, Olanda, Slovacchia e Repubblica Ceca) hanno assunto una linea più rigida nei confronti del Belpaese. E tra essi ci sono Governi “sovranisti”. Ma non pronti a venire in aiuto di “sovranisti” pieni di debiti.

Siamo quindi azzoppati. E con noi lo è l’Ube.

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