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Chi accusa il Papa confonde la Chiesa con una corporation. Parla Tornielli

Ha suscitato forte dibattito, nelle ultime ore, la richiesta fatta dalla Santa Sede alla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, tramite una lettera del Prefetto della Congregazione per i vescovi Marc Ouellet e pubblicamente svelata dal presidente dei vescovi americani, di rimandare il voto sulle misure anti-abusi a un secondo momento, in particolare al prossimo febbraio. Data nella quale i capi delle conferenze episcopali di tutto il mondo si riuniranno in Vaticano attorno a Francesco, da lui stesso convocati, per confrontarsi sul delicato tema. Come però immaginabile, la vicenda è stata subito usata per attaccare il Vaticano e per testimoniare una presunta distanza tra il clero statunitense impegnato sul tema degli abusi e il Papa.

Di questo Formiche.net ha parlato con il vaticanista della Stampa e coordinatore di Vatican Insider Andrea Tornielli, che da poco è nelle librerie per i tipi di Piemme con “Il giorno del giudizio”, un saggio-inchiesta scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Valente in cui si ripercorrono questi ultimi mesi di scottanti conflitti all’interno del mondo ecclesiastico, mettendone in fila i dettagli, le contraddizioni, e da ultimi i fatti. Nell’intervista Tornielli afferma con decisione come oggi, in realtà, nella Chiesa l’unico bisogno sia quello “di una purificazione che parta da uno sguardo di fede”. “Oggi è prevalente in certi settori, anche della Chiesa, confonderla con una corporation, dove è importante che ci siano le best practices e dove il Papa è considerato alla stregua di un amministratore delegato, per cui se agli azionisti non va più bene si chiedono le dimissioni”, dice il vaticanista. “Come ha fatto in maniera eclatante e inaudita l’arcivescovo Viganò”.

Ci spiega meglio la vicenda americana?

La questione è che il comitato esecutivo della Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha lavorato per preparare dei documenti che dovevano essere discussi e anche votati. Questi però non sono stati inviati alla Santa Sede, che invece li ha chiesti, per due motivi: il fatto che a febbraio, fra due mesi e mezzo, c’è a Roma una riunione di tutti i presidenti delle conferenze episcopali per parlare di questo problema. Dunque è stato ritenuto utile che prima di prendere delle decisioni si aspettasse questo incontro, ormai dietro l’angolo. E poi perché leggendoli, nel tempo di ventiquattro ore, visto che la Santa Sede li ha ricevuti giovedì o addirittura venerdì, sono emersi alcuni problemi di congruenza con il diritto canonico.

Questo che significato ha?

Di sicuro non vuol dire che la Santa Sede non vuole che si facciano linee guida o delle azioni contro la pedofilia. È semplicemente che se una conferenza episcopale stabilisce delle norme queste non possono prescindere dal diritto canonico. In più gli standard di comportamento dei vescovi in alcuni casi erano scritti in modo generico, non precisi. Se però decidi gli standard sulla base dei quali vieni giudicato, io devo sapere esattamente quali sono, è un mio diritto. La Santa Sede però non ha detto che il documento non doveva essere discusso, ma che non doveva essere votato. E la maggior parte dei vescovi lo ha conosciuto in quel momento.

Perché allora la notizia è venuta fuori in questi termini?

In tempi normali, con una conferenza episcopale che riceve un’indicazione autorevole dalla Santa Sede, e Ouellet esercita una podestà in nome del Papa, sarebbe accaduto che il presidente avrebbe fatto propria questa posizione, dicendo ai vescovi di aspettare due mesi, e nel frattempo di riflettere e discutere sul lavoro svolto. Oppure avrebbe detto: siamo d’accordo con la Santa Sede, e si procede così. No, il presidente Di Nardo al contrario ha affermato: su insistenza della Santa Sede bisogna aspettare febbraio, sono deluso. Questo significa che sono saltati tutti gli schemi.

La domanda centrale è quindi perché il presidente della Conferenza episcopale ha voluto dire quello che ha detto. 

Viene fatta apparire una contrapposizione con la Santa Sede quando il problema è che ci sono dei testi che non corrispondono al diritto canonico. A me fa più che impressione il fatto che ci siano persone che si definiscono tradizionaliste, che militano in quel campo, e che pur di attaccare il Papa, come fanno quotidianamente, vengono meno alle loro basi di tradizioni. Ormai tutto va bene pur di attaccare il Papa. Io trovo che quanto accaduto sia una reazione folle.

L’idea è che un peso importante in questa vicenda viene giocato dall’opinione pubblica.

Sì, c’è una pressione dell’opinione pubblica, mediatica e anche dei fedeli, però dipende anche da ciò che i vescovi dicono ai fedeli. Io non sono convinto che la soluzione al problema sia nel fatto che i vescovi demandino la loro autorità o la possibilità di essere giudicati a commissioni fatte dalle autorità civili, esterne, o che credano che il problema si risolve con norme sempre più precise o standard sempre più particolarizzati. Questo è un modo di vedere tipicamente aziendalistico, che vede la Chiesa come una corporation, dove basta stabilire i codici di comportamento migliori e le cose funzionano.

Mentre invece le soluzioni sono altre.

Se uno si ha uno sguardo di fede sa che il vero modo per risolvere i problemi è una riscoperta della fede: la conversione, la preghiera, la penitenza, un rinnovamento spirituale. E non è un caso che il Papa abbia chiesto ai vescovi americani di fare un ritiro spirituale il prossimo gennaio. Il punto è: ricordare che cos’è la Chiesa e capire che non bastano le norme per estirpare il male o il peccato, considerato poi non si estirpa mai del tutto.

A questo punto accadrà, o cosa potrebbe accadere, nel prossimo febbraio? C’è la possibilità che rispetto a questa problematica vengano implementate linee guida uguali per tutte le conferenze episcopali, o cos’altro?

Io non lo so, certamente c’è necessità di un approccio approfondito e comune al tema, il più possibile. Ma una cosa è l’approccio statunitense, un’altra quello africano. Però di certo non si potrà andare contro al diritto canonico, e i primi a doverlo sapere dovrebbero essere i vescovi, anche se talvolta non sembra così, a partire da monsignor Viganò, che è arrivato all’enormità di chiedere le dimissioni del Papa dimenticando che c’è un’unica condizione prevista per far sì che una rinuncia del Papa sia valida: che sia assolutamente libera, che cioè sia data con decisione presa in piena coscienza e avvertenza e assolutamente libera da qualsiasi tipo di costrizione, suggerimento o pressione. Nel momento stesso in cui fai pressione affinché il Papa rinunci stai rendendo invalida la sua eventuale rinuncia. Poi il canone dice che la Sede Apostolica di Roma non è giudicata da nessuno: cioè nessuno nella Chiesa può mettere sotto accusa il Papa. L’unico motivo eventualmente è di eresia, che il Papa cioè si sveglia la mattina e all’Angelus dice che Nostro Signore Gesù Cristo non è risorto. Questo sarebbe un problema legato alla Dottrina della Fede.

Una situazione inverosimile.

Mettere il Papa in stato di accusa per avere agito in un modo piuttosto che in un altro non ha senso, poi in questo caso l’accusa è veramente ridicola, non sta in piedi, non c’è veramente nulla di cui accusarlo, dato che i fatti sono questi: il primo Papa che fa qualcosa di concreto, duro e definitivo contro McCarrick si chiama Francesco. Il fatto che Viganò abbia chiesto le dimissioni del Papa dice che in lui e in quelli che gli vanno dietro si è verificato un mutamento nel Dna, si è persa contezza e cognizione di ciò che la Chiesa è.

Proprio in questi giorni l’arcivescovo Charles Scicluna, uomo simbolo della lotta contro gli abusi nel clero, è stato richiamato da Papa Francesco alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Che segnale è?

È un segnale importante perché monsignor Scicluna è un uomo simbolo, grande esperto di queste cose, grande uomo di fede che è stato vicino a Benedetto XVI e poi attualmente a Francesco, che ha uno sguardo di fede e che continuerà a fare il vescovo a Malta. Ma che è quello che ha fatto l’inchiesta in Cile, dunque la scelta indica che il Papa non vuole demordere, non lascia correre, non vuole chiudere la partita su questo tema. Vuole al contrario che sia fatta giustizia, che si vada avanti, che le vittime siano ascoltate, e dunque rafforza il ruolo di Scicluna presso la Curia romana, dandogli un incarico di alto livello, e di certo avrà un ruolo significativo nella preparazione dell’incontro di febbraio. È chiaro che il Papa dice: non si pensi che si torna indietro, o che non voglio combattere il fenomeno.

Lei nel suo saggio inchiesta “Il Giorno del Giudizioˮ, scritto assieme al giornalista Gianni Valente, ripercorrendo questa “guerra dei dossier” parla della strumentalizzazione della questione degli abusi, ma anche dall’altra parte di un mondo definito “Bergoglio-chic”, e scrive: “Ciò a cui stiamo assistendo non è solo l’emergere del mysterium iniquitatis, del mistero del male e del peccato che sconquassa la Chiesa dall’interno e che è sempre esistito”.

Stiamo parlando del mistero del male, il peccato, che fuori e dentro la Chiesa è sempre esistito, perché non è vero, come dicono certi tradizionalisti dalla memoria labile, che è la Chiesa modernista post-conciliare che ha a che fare con queste cose. Io ho citato un pamphlet che fu scritto in difesa di Pio XII, “Gli anticristi nella Chiesa di Cristo”, dove si parla con testimonianze giurate e lettere autografe dei vizi di prelati e alti prelati in Vaticano, negli anni ’20 e nei primi anni ’30, e si vede che non stiamo parlando di un fenomeno nuovo. Chiunque è onesto vede che quella era la Chiesa pre-conciliare, dove sembrava che tutto andasse bene, invece non è vero, semplicemente perché stiamo parlando del peccato e della fragilità umana. È chiaro che negli anni ’70 e ’80 il fenomeno ha assunto dimensioni seriamente preoccupanti, ma è anche vero che se si guardano i dati dal 2001/2002 si vede una netta diminuzione.

Ci fa qualche esempio specifico?

L’anno scorso nella commissione nazionale composta da laici in Irlanda, per raccogliere le denunce di presunti casi di abuso, su cento segnalazioni ce n’erano una o due che riguardavano il periodo posteriore al 2001. Cioè stiamo assistendo al riemergere di casi relativi a un passato remoto. Questo significa che il percorso che la Chiesa ha fatto negli ultimi 16 anni non è stato invano, e non si può dire che la Chiesa non abbia fatto niente, perché ha preso delle iniziative. Che non bastano, perché finché ci sarà una vittime che chiede giustizia sarà sempre troppo. Però è anche assurdo immaginare che grazie a norme o regole si riesca a debellare completamente il fenomeno: vorrebbe dire debellare il peccato, ma non è così. Si potrà avere grande attenzione nei seminari ma il fenomeno esiste in termini statisticamente maggiori in altri settori della società, come la famiglia, l’ambito principale nel quale avvengono gli abusi, poi per insegnanti, allenatori, e via dicendo.

Il titolo, “Il giorno del giudizio”, sarebbe così legato all’emergere di determinate vicende incresciose all’interno della Chiesa?

Più che gli scandali indica la drammaticità del momento che viviamo, il mutamento genetico di una Chiesa che perde coscienza di ciò che è. Lo è di fronte alla situazione inaudita di un arcivescovo che chiede le dimissioni del Papa e che dopo questa sua uscita ci siano stati più di venti o venticinque vescovi americani che come primo commento pubblico hanno detto che Viganò è credibile, che dobbiamo indagare, e che non abbiano speso una parola di solidarietà per un Papa messo in stato di accusa. Il fatto che ci siano vescovi che di fronte a un accusatore del Papa la prima cosa che si sentono di fare è dare solidarietà all’accusatore, piuttosto che al Papa, dice che è venuto meno qualcosa di essenziale dell’essere cattolico, per un vescovo, che riceve il potere episcopale in termine sacramentale dall’ordinazione, ma che riceve anche la giurisdizione che esercita dal Papa. Per il magistero del vescovo la comunione con il Papa è essenziale, non è come per il manager che può essere più o meno d’accordo con l’amministratore delegato.

Il Papa tuttavia non ha seguito affatto la stessa strada degli accusatori.

Ci ha colpito molto, a me e a Gianni Valente, che il Papa non abbia dato delle rispostine a ciò che si chiede in maniera petulante in tutto il circuito politico-mediatico che sostiene Viganò, e che non ha riaperto i faldoni del passato, ma ha dato, da Papa e da pastore, l’invito a tutto il popolo di Dio a pregare il rosario alla Madonna e a San Michele Arcangelo per difendere la Chiesa dall’attacco del demonio che vuole dividerla dall’interno. Una cosa drammatica, che non era accaduta negli ultimi decenni, e che dice quanto il Papa percepisca come grave la situazione, non innanzitutto per l’emergere degli scandali sessuali, ma per questa divisione interna che fa perdere l’unità, la caratteristica principale della Chiesa cattolica.



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