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Chiese dismesse, pronti per una teologia della città?

Il tema è di rilievo non solo per la scottante attualità della questione, e basta aprire i giornali per vedere un caso dietro l’altro di chiese che una volta dismesse vengono vendute al miglior offerente. E non è un modo di dire, perché spesso e volentieri si parla di aste pubbliche, e sempre più si vede utilizzare nei modi più strambi quelle che una volta erano luoghi di incontro con Dio. Non ci sono solo i casi che hanno fatto più scalpore, come quello del Night Club a Praga, le chiese adibite a residenze di lusso a Utrecht o Notting Hill, i birrifici sparsi per tutta l’Olanda con annessi festival, e poi musica techno, ballerine, skate park, ristoranti vari. Basta andare in centro a Roma, culla della cristianità, e si può trovare la dicitura di “ristorante tipico calabrese in una chiesa sconsacrata ricca di affreschi”. Ma la questione salta ancora più all’occhio quando la riqualificazione diventa una conversione a Moschea, come nel caso di Bergamo in cui ad acquistare l’edificio, con regolare asta pubblica indetta dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, è stata l’Associazione musulmani. O peggio, nella sguaiata vicenda dell’ex chiesa di San Giovanni all’Olmo, pieno centro storico di Napoli, con le foto, che hanno fatto il giro di tutti i social network, della festa di Halloween in cui giovani abbigliati a metà tra il truce e il provocante sedevano senza remore su quelli che una volta erano altari e cappelle per la preghiera.

LA LETTERA DEL PAPA E “L’IMPRONTA DEI LUOGHI DI CULTO CHE NON SI ESAURISCE”

“Il senso comune dei fedeli percepisce per gli ambienti e gli oggetti destinati al culto la permanenza di una sorta di impronta che non si esaurisce anche dopo che essi hanno perduto tale destinazione”, e “i beni culturali ecclesiastici sono testimoni della fede della comunità che li ha prodotti nei secoli e per questo sono a loro modo strumenti di evangelizzazione che si affiancano agli strumenti ordinari dell’annuncio, della predicazione e della catechesi”, ha affermato a proposito Papa Francesco nella lettera inviata ai partecipanti al Convegno “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura in collaborazione con la Pontificia Università Gregoriana e la Conferenza Episcopale Italiana, in svolgimento a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana.

“LE CHIESE DISMESSE SIANO FINALIZZATE AD ATTIVITÀ CARITATIVE E AI POVERI”

“Questa loro eloquenza originaria può essere conservata anche quando non sono più utilizzati nella vita ordinaria del popolo di Dio, in particolare attraverso una corretta esposizione museale, che non li considera solo documenti della storia dell’arte, ma ridona loro quasi una nuova vita, così che possano continuare a svolgere una missione ecclesiale”, ha spiegato ancora il Pontefice nel messaggio. Per questo “i beni culturali sono finalizzati alle attività caritative svolte dalla comunità ecclesiale”, e “l’insegnamento ecclesiale, pur inculcando il dovere di tutela e conservazione dei beni della Chiesa, e in particolare dei beni culturali, dichiara che essi non hanno un valore assoluto, ma in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri”.

IL CASO TEDESCO E LE PROSPETTIVE DEL DIRITTO CANONICO RISPETTO A QUELLO CIVILE

La domanda allora risuona ancora più forte di prima: che fare con le chiese dismesse? Se si prende in considerazione solo il caso tedesco, dal 2000, come esposto da Paweł Malecha, docente e membro del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, sono state chiuse più di 500 chiese cattoliche, un terzo della quali è stato demolito e due terzi sono stati venduti o destinati ad altri scopi. Mentre se si guarda il contesto olandese, più di 500 chiese chiuderanno nel prossimo decennio. È infatti nel Nord Europa che il fenomeno acquista più rilevanza e consistenza, anche dal punto di vista numerico, in terre cioè che un tempo venivano considerate apertamente cristiane e che ora, per qualche imprevisto della storia, decisamente meno. E considerato poi che “la prospettiva del diritto canonico è limitata alla riduzione di una chiesa ad uso profano”, “una volta che una chiesa è alienata dal controllo ecclesiastico, non è più soggetta al diritto canonico”, spiega Malecha. Nonostante infatti l’orientamento della legge canonica sia quello di “mantenere il possesso e ridurre un edificio ad uso profano non sordida, ossia non contrario alla moralità pubblica ma che corrisponda alla dignità di immobili un tempo chiese, solo eccezionalmente e solo per gravi motivi”, si tratta di una “questione di diritto civile, quindi è importante mantenere buoni rapporti con le autorità civili”.

MONSIGNOR RUSSO: DEFINIRE LINEE GUIDA PER “TRASFORMAZIONI EQUILIBRATE E CONSONE”

Il messaggio che ne consegue, è: no alle più strane e stravaganti destinazioni d’uso. Mentre una funzione “compatibile” può essere di natura culturale, quindi biblioteche, archivi, musei e attività artistiche. Il tutto non rivolto a uno scopo di lucro ma a una finalità di arricchimento umano. E soprattutto pubblica, quindi gratuita, cioè aperta a tutti, e non escludente o volta al profitto. D’altronde, come ha spiegato il neo segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, già “esistono diversi esempi interessanti di conversione ad auditorium o a biblioteche”, perciò “la destinazione d’uso culturale può essere quella da privilegiare”. A differenze di alcune radicali trasformazioni che tuttavia mantengono “inalterato l’apparato liturgico, scultoreo e decorativo”, e che per questo risultano “assolutamente inopportune, così come mi sembra inopportuno, onde evitare confusioni, l’uso di ex edifici di culto per la celebrazione di matrimoni civili”. Il proposito è quello di definire “linee guida orientative che tengano conto delle esperienze in atto può costituire un buon servizio”, volte a favorire “trasformazioni equilibrate” delle chiese dismesse, e “consone” al loro carattere, mantenendone la “funzione pubblica”, ha spiegato Russo.

LA SFIDA DI UNA “TEOLOGIA DELLA CITTÀ” E LE REAZIONI DI CHI NON PARTECIPA ALLA VITA ECCLESIALE

Che non è solo una questione di tipo architettonico, ma si tratta di un tema anche e soprattutto identitario, ed è per questo che l’argomento interessa i fedeli e i non fedeli, sempre più suscettibili a utilizzi impropri. “Se la chiusura delle chiese fosse una provocazione a costruire scialuppe anziché torri di pietra e a inventare una teologia della città?”, è invece la provocazione lanciata dal sociologo dell’Università di Roma Tre Luca Diotallevi, mentre si spiegava che “spesso la chiusura di una chiesa suscita forti reazioni anche in coloro che non partecipano alla vita ecclesiale”, e che molti la vivono come “un momento di sconfitta sociale piuttosto che come un’emancipazione, come avveniva nel passato”. La difficoltà infatti è quella di comprendere come “le relazioni tra spazio, luogo e tempo si stanno continuamente trasformando, e così la religione e gli spazi della società contemporanea possono aspettarsi un mutamento in cui il boom religioso in alcune sfere compenserà il declino religioso in altre”, spiega il sociologo. E subito dopo, nella generale trasformazione urbana che caratterizza l’oggi, quella di afferrare, “con lo sviluppo di nuovi contesti urbani e delle città globali”, la questione civile “che si riflette nelle chiese mentre emergono nuove società senza stato”.

“LA CONSTATAZIONE DEI SEGNI DEI TEMPI CI INVITA A RIFLESSIONE E ADATTAMENTO”

Una prospettiva che cioè preoccupa ma allo stesso tempo interroga, visto che le chiese, per loro natura, rappresentano al proprio interno un luogo di culto e di incontro con Dio, e all’esterno il catalizzatore di un patrimonio storico, artistico e soprattutto culturale. Specialmente in un paese come l’Italia, dove si parla di circa sessantacinquemila chiese di proprietà delle parrocchie, all’interno di circa centomila di proprietà di privati, demanio, regioni, comuni. “La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento. E’ ciò che in qualche modo afferma l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium quando, sostenendo la superiorità del tempo sullo spazio, dichiara che dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi”, ha specificato ancora Bergoglio nella missiva letta dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, in apertura del convegno che ha visto la presenza di oltre 250 partecipanti e di relatori da ben 36 Paesi, nonché di delegati di 23 Conferenze episcopali.

PAPA FRANCESCO, LA LIBERAZIONE DI GERUSALEMME E LA PROFEZIA

“La dismissione non deve essere la prima e unica soluzione a cui pensare, né mai essere effettuata con scandalo dei fedeli. Qualora si rendesse necessaria, dovrebbe essere inserita per tempo nella ordinaria programmazione pastorale, essere preceduta da una adeguata informazione e risultare il più possibile condivisa”, è tuttavia l’ultimo invito del Pontefice. “Nel Primo libro dei Maccabei si legge che, una volta liberata Gerusalemme e restaurato il tempio profanato dai pagani, i liberatori, dovendo decidere la sorte delle pietre del vecchio altare demolito, preferirono metterle da parte “finché fosse comparso un profeta a decidere di esse”.



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