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I conti sulle pensioni sono sbagliati. Ecco perché

L’intervista del presidente dell’Inps Tito Boeri è la dimostrazione di quanto un autentico tecnico competente di materia istituzionale e previdenziale possa argomentare ad arroganti governanti come si deve agire per la difesa legittima dei ruoli; e in coda alle audizioni in Parlamento e dunque libero da ogni persecuzione dittatoriale, si sostengono con lucidità le proprie opinioni a suon di numeri reali e non di slogan elettorali.

Quota 100: i conti sulle pensioni sono sbagliati. Ora l’Inps rischia l’assalto ed è pericoloso per la democrazia che la politica cerchi sistematicamente di delegittimare le autorità indipendenti e le funzioni di controllo come sta facendo il governo sia con le aziende partecipate che con Cassa depositi e prestiti, oltre che con Inps. E soprattutto spetta “all’istituto” come imparammo a conoscerlo con il dovuto rispetto di chi ci lavora (come fece uno dei presidenti più famosi come Billia e di cui Boeri è onorevole successore) segnalare per tempo potenziali violazioni del patto intergenerazionale di cui è garante e  l’idea di bloccare l’aggiustamento dell’età del ritiro alla speranza di vita non fa i conti  con l’obbligo a misurarsi con i vincoli. È stato il governo stesso che ha chiesto a Inps delle simulazioni sulla proposta e ne sono state fatte moltissime e tutte dimostrano  per forza che ci sia un forte incremento della spesa nei primi anni: all’inizio c’è un grande gruppo di persone che entra a carico del sistema pensionistico e ogni anno se ne aggiungono altre che maturano i requisiti, dunque la spesa non può che aumentare e non è vero che a regime si stabilizza. Così il sistema pensionistico a ripartizione salta e i giovani non hanno nessuna possibilità di prevedere una tutela.

Oltre tutto la proposta è veramente trattata con una disinvoltura imbarazzante: si accenna confusamente a età e a contribuzione e gli azzeccagarbugli mettono in circolo inutili patemi d’animo sulle presunte penalizzazioni  sulle pensioni, che non sono, bensì sono ovvie correzioni sulla parte dei contributi versati e chi lascia prima contribuisce meno e quindi matura pensioni basse, come succede anche oggi alle lavoratrici che non riuscendo ad avere periodi contributivi continuativi per la mancanza di conciliazione tempi di vita e di lavoro, la maggior parte ha pensioni al limite della povertà.

La verità di Boeri non fa una piega e invece sulla proposta che ancora non ci è dato conoscere perché ipoteticamente affidata ad un successivo ddl in coppia con il reddito di cittadinanza, pare interverrebbe su un’età minima di 62 anni, mentre per usufruire del canale di accesso alla pensione sulla base dell’anzianità di servizio, a prescindere dall’età anagrafica, sarebbero sufficienti 41,5 anni. Non è chiaro se resterebbe o meno un tetto per i periodi di contribuzione figurativa (si è parlato di 2 o 3 anni e basta). Degli oneri occorrenti, degli effetti sulla sostenibilità del sistema pensionistico, del numero e della tipologia dei soggetti che trarrebbero beneficio e di quelli che invece pagherebbero il conto (piuttosto salato) si è scritto a iosa in questi giorni, tanto che non vale la pena di insistere, perché – come dice il proverbio – non esiste una persona che sia più sorda di chi non vuole sentire. Quanto poi a quel che sta succedendo oggi con uno spread ballerino e in crescita come non essere preoccupati e non essere fortemente europeisti convinti: noi i conti li sappiamo fare. Salvini, Di Maio, Conte e anche Tria insistono. La divergenza economica rispetto agli altri Paesi e il rischio di isolamento politico in Ue è già realtà. Tanto deficit ma per aumentare spesa corrente e pensionistica, rappresenta una sconfitta per i giovani, ancora una volta emarginati e penalizzati. E per l’Italia.

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