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Etica dei diritti umani quale rafforzamento del diritto migratorio

 

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(foto da © Unione Forense Per La Tutela Dei Diritti Umani )

(Stralcio scritto dal sottoscritto per https://www.diritto.it/la-vicenda-della-nave-aquarius-la-questione-migratoria-la-lente-del-diritto-internazionale-dellue/ , da cui è possibile leggere l’intero mio contributo de “La vicenda della nave “Aquarius” e la questione migratoria sotto la lente del diritto internazionale e dell’Ue” – 12/11/2018).

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In precedenza, si è affrontato, sul piano prettamente giuridico, l’atteggiamento dell’Italia, come pure di Malta, intorno al problema dell’incapacità e della responsabilità di procedere all’accoglienza, nei propri rispettivi porti come luoghi sicuri, dei migranti dell’imbarcazione Aquarius, sottolineando il fatto che il rifiuto da parte di entrambi gli Stati di concedere l’ingresso della nave, gremita di persone di nazionalità diverse e che provenivano dai loro diversi Paesi d’origine, è stato deplorevole, ma non necessariamente illecito. I due Paesi, secondo qualche autore, non avrebbero violato e il diritto internazionale del mare e quello riguardante i diritti della persona. La sorte della nave ONG Aquarius e dei migranti, che si trovavano a bordo, può essere reputato ancora un altro emblema di una serie di scenari in cui la gente, in prevalenza devastata da incresciosi scontri bellici nei loro Paesi di provenienza da dove fugge, repressa oppure il loro territorio depredato e reso povero, spesso tenta di attraversare illegalmente le frontiere terrestri e marittime o i confini internazionali; essa è in cerca di aiuto, di sicurezza e di una vita migliore. Questo e analoghi eventi delineano non solamente il fatto che la gestione dell’arrivo di individui, provenienti da Stati terzi, che fanno domanda d’asilo, in particolar modo nel vecchio continente europeo, ha cagionato una serie di profonde crisi, come pure da masse di cittadini che migrano irregolarmente da Paesi extra UE non subirà, almeno per ora, un arresto. Da ciò si comprende come sia necessario trovare delle soluzioni di lungo periodo a questo ormai fenomeno inarrestabile.
 Per poter frenare l’emorragia dei flussi migratori verso l’UE, è d’uopo avviare la riforma della governance e della gestione di masse migratorie, al fine di affrontare le sfide e le aspettative del XXI secolo. L’UE, inter alia, sta tentando di dare una svolta a questa situazione, che ha subito un’impasse mercé la riforma della sua politica d’asilo e di migrazione, in particolare del Regolamento di Dublino III – regolamento UE 604/2013, adottato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio nel 2013, sulla base di un precedente regolamento del 2003, che a sua volta sostituiva un trattato intergovernativo concluso nella capitale irlandese nel 1990 –, cioè il cambiamento delle disposizioni che concernono l’insieme delle regole dell’UE per determinare lo Stato membro responsabile del trattamento di una domanda di protezione internazionale; e le stesse Nazioni Unite dovrebbero adottare il c.d. Global Compact for Migration, che ha per oggetto le migrazioni, strumento internazionale di soft law cioè a dire il diritto morbido per sottolineare la scarsa vincolatività, primo accordo intergovernativo, preparato sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per gestire le dimensioni del fenomeno di flussi migratori internazionali e riconoscere che ogni individuo ha il diritto alla sicurezza, alla dignità e alla protezione. Si può dire che, come ha sostenuto la Santa Sede, è uno strumento, incentrato sul multilateralismo, per sottolineare la centralità della persona umana, i cui diritti inalienabili non devono mai essere negati. Soprattutto in una condizione di estrema vulnerabilità come è, prevalentemente, quella dei migranti e dei rifugiati. Ed ecco che da qui si può comprendere che anche il diritto ha i suoi limiti e, quindi, non è lex divina, per cui ci si trova dinanzi a un vuoto che, a parere dello scrivente, è possibile superare con riferimento a quelli che sono i limiti delle norme concernenti la protezione degli asilanti o richiedenti asilo.
Una delle tante soluzioni a tali limiti potrebbe essere rappresentato dall’intraprendere precetti e ideali di rango superiore, c’est à dire quei valori e principi fondamentali su cui è stata costruita la comunità politica e il suo ordinamento giuridico, che può concretizzarsi mediante i pilastri etici considerati veri e propri valori.
L’etica certamente è un’espressione filosofica che sta a indicare di come vivere e che determina ciò che si trova accettabile o viceversa, non solo, ma pure la concezione di ciò che è dovuto da noi, come pure il realizzarsi gli uni con gli altri. Si può dire che questo strumento, id est l’etica, ha l’ambizione di essere una specie di norma superiore, la quale  delinea quelli che sono i livelli di condotta comportamentale che vale sia per le persone sia per gli Stati, quali soggetti con capacità giuridica, eventualmente in contrasto con i loro interessi oppure  desideri.
L’etica implica anche un’analisi di principi da tenere presente, che sono rappresentati dalla «dignità», dalla «giustizia», dalla «libertà» o dalla «tolleranza», e fornisce determinati spunti su come decidere la cosa giusta da mettere in opera. Nel pensiero filosofico, ergo, dell’area occidentale vi sono alcune posizioni o punti di vista di carattere etico come nel caso, a titolo esemplificativo, dei flussi migratori. Se coloro che manifestano il lato positivo a favore dei richiedenti asilo, essi asseriscono che accoglierli è del tutto lecito in quanto rientrante nella sfera della «dignità» della persona umana, essi, dunque, ritengono che tale dignità umana può rendersi concreto attraverso l’ausilio di chi si trova nel contesto della necessità o del bisogno. Coloro che sono a favore della «libertà», ritengono che gli individui hanno il totale diritto di  fare tutto ciò che desiderano con la loro vita e i loro beni materiali, purché siano tolleranti dei diritti degli altri di fare lo stesso. Nel caso di coloro che sono dalla parte dei richiedenti asilo, affermando che ciò favorirebbe il bene comune, essi, quindi, assumono una posizione favorevole che potrebbe superare le difficoltà degli asilanti. Infine, coloro che preferiscono che si percorra la via aretaica ossia dell’αρετή, cioè basata sull’etica della virtù dove un atto per essere morale non va reputato secondo i risultati, le azioni che vengono compiute, ma valutando l’individuo agente che dovrà accostarsi al comportamento ritenuto virtuoso, essi supporterebbero un richiedente asilo, sebbene ciò sarebbe un fatto positivo che davvero può realizzarsi.
In tale ambito, porre il proprio modus cogitandi sul tema dell’etica sta a indicare il delineare delle mere questioni su entrambi i contenuti e la prassi del diritto. Quest’ultimo termine fa soventemente riferimento allo strumento dell’etica, per cui il diritto stesso potrebbe essere sul piano morale imperfetto e, pertanto, il mezzo dell’etica potrebbe essere utilizzato per evidenziare delle critiche attorno alle norme giuridiche e reclamare il cambiamento delle norme stesse (come nel caso del Regolamento di Dublino III, dove si pensa a depennare le vecchie disposizioni, inserendo le nuove e approvando il nuovo Regolamento che dovrebbe chiamarsi Dublino IV).
Un’analisi di tipo etico ovviamente dovrebbe esaminare minuziosamente i contenuti e la prassi giuridica che debbono trovarsi sulla stessa onda di quei valori e principi fondamentali, di cui si è detto prima. Da ciò può sorgere una gamma di domande come, ad esempio, la correttezza di uno Stato dinanzi a chi lascia lo Stato d’origine per trovare una vita sicura e migliore; come quella della responsabilità che lo Stato d’accoglienza deve assumersi per il benessere di chi migra, senza essere a favore solo del proprio popolo, ma anche dell’intera umanità; come la questione se uno Stato debba essere vincolato o meno ad aiutare le persone che fuggono da Paesi terzi dove è in corso un conflitto bellico o perché oggetti del fumus persecutionis per ragioni razziali, di fede, per motivi politici; per non parlare pure del caso in cui lo Stato possa rifiutare di soccorrere tali persone, anche se queste ultime abbiano intrapreso un viaggio illegale e via discorrendo. Per dare delle risposte a quanto poc’anzi scritto, è d’uopo partire dalla posizione etica scelta.
Gran parte delle nazioni democratiche, che compone la comunità internazionale e vive nella vita società internazionale, ha scelto una particolare angolatura di posizione sul piano dell’etica. In base agli ordinamenti costituzionali, compreso quello italiano, si può notare come nelle loro Carte costituzionali sono presenti norme che contengono valori e principi democratici, come pure lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, che sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo. Queste norme fondamentali tendono ad essere centrate verso il concetto di dignità come valore morale che ha la sua origine dall’imperativo di Immanuel Kant: nel senso di non trattare mai gli esseri umani come mezzi ma sempre come fini, vale a dire che taluni valori fondamentali non sono negoziabili.
Per Kant la dignità è valore senza prezzo: il valore assoluto di ogni persona è la base dell’autostima ma anche della consapevolezza che la natura razionale è comune a noi e agli altri. Un esempio recente di questo concetto kantiano di dignità, come di valore non negoziabile, ci è offerto da una pronuncia della Corte Costituzionale tedesca: in seguito agli attacchi dell’11 settembre del 2001, il Parlamento tedesco passò una legge che consentiva alla Luftwaffe (aviazione militare) di abbattere un aereo in mano ai dirottatori quando era certo che stessero facendo saltare in aria il velivolo. La Corte tedesca ritenne incostituzionale questa legge sulla base dell’art.1 della Legge Fondamentale che afferma che la «dignità umana è inviolabile». Ne consegue che l’abbattimento volontario delle vite di innocenti non è mai consentito rilevando che quelle vite siano destinate tristemente a cessare in un breve lasso di tempo. E cioè anche quando esse sono per altri motivi spacciate. La Consulta tedesca ricordò infatti che la dignità umana esige la medesima protezione costituzionale a prescindere dalla durata dell’esistenza fisica del singolo essere umano. Le scelte sul piano etico sono state rese tangibili e successivamente intessute nei loro ordinamenti interni. Ergo, queste scelte sono state anche garantite mediante l’adozione di disposizioni vincolanti erga omnes a partire dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre del 1966, in cui si evince che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; come non fare qualche accenno al Trattato sull’Unione Europea in cui viene enucleato che «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze». Tali valori vengono posti a fondamento dell’UE e, inoltre, sono dichiarati comuni agli Stati membri, per cui l’espressione dignità umana, invero, appare come il fondamento dell’intero complesso dei diritti umani, così come l’uguaglianza, per un verso, costituisce essa stessa un diritto fondamentale, per altro verso si collega allo stato di diritto, e anche la libertà, termine che non va riferito alle numerose libertà riconosciute dai Trattati, ma alla sua dimensione politica, quale garanzia di tolleranza di una sfera di autonomia dei cittadini rivendicata nei confronti di entità pubbliche e sottratta alla loro interferenza. Come non va non menzionata la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, che dal 2009 ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, in cui viene difatti enunciato che la dignità umana è inviolabile, nel senso che la dignità della persona non è soltanto un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali, su questo punto persino la Corte di Giustizia UE ha confermato il diritto fondamentale alla dignità umana come parte integrante del diritto dell’UE.
Anche il diritto internazionale generale spesso e ampiamente abbraccia tali scelte etiche, come nel caso del diritto internazionale del mare in concerto con la Convenzione SAR emendata, concernente la ricerca e il salvataggio di persone in mare, di cui ho già in larga misura trattato in precedenza, che richiede di prestare assistenza agli individui in pericolo di vita quando si trovano in mare aperto; potrei dire vincolo che si ritrova anche in altri strumenti internazionali marittimi come, ad esempio, nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare. Il riconoscimento della dignità umana nell’ambito del diritto internazionale generale, tuttavia, è maggiormente avvertito nel terzo millennio, ma che può essere rintracciato già nel secolo ormai trascorso, in particolar modo all’indomani del secondo conflitto mondiale con l’affacciarsi, per la prima volta nella storia dell’umanità, di una giustizia penale internazionale spinta dalla necessità di punire coloro che commisero atrocità inaudite, grazie alle scoperte agghiaccianti del 1945, dando così prova di quanto fosse stato preveggente il comportamento delle Parti che, in seguito, uscirono vittoriose dall’immane belligeranza, nel momento in cui sancirono la necessità di punire gli autori di quei disumani massacri. I crimini commessi all’indomani della World War II, perpetrati dall’asse nazifascista, portarono all’istituzione dei Tribunali ad hoc di Norimberga e di Tokyo, prime istituzioni giudiziarie penali, e all’emergere di una giustizia penale internazionale, istituiti dagli Alleati, rispettivamente nel 1945 e 1946, per giudicare sui crimini commessi durante nella seconda guerra mondiale. Da qui, si comprese l’importanza dell’individuo nell’ambito della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 260 A (III) il 9 dicembre 1948, dove è stato posto in risalto che il genocidio è un atto criminoso vietato dal diritto internazionale, che la sua perpetrazione può far scaturire sia la responsabilità internazionale dello Stato, sia la responsabilità penale degli individui, come pure nello Statuto di Roma del 1998, che istituisce una Corte Penale Internazionale a carattere permanente, in cui viene ripreso la definizione di genocidio quale atto compiuto per distruggere un gruppo di individui, nel senso di come si è voluto che la persona umana diventasse «l’unità suprema di tutto il diritto» e la dignità di ciascun singolo essere umano vada fatta rientrare direttamente nell’interesse del diritto internazionale.
Seguirono ulteriori importanti evoluzioni, da quello del diritto internazionale umanitario, come quello della nascita di organismi giudiziari internazionali e regionali che si occupano esattamente dei diritti dell’uomo, ai trattati internazionali che hanno come scopo quello di proteggere le persone, i rifugiati e le minoranze. Va ricordato anche il summit delle Nazioni Unite, in cui gli Stati membri hanno accettato di impegnarsi in larga misura ad applicare la dottrina della responsabilità di proteggere, che qualcuno ha definito una di sorta di astuzia giuridica che tenta di inserire il diritto di ingerenza nel diritto internazionale, mentre i principi del diritto internazionale respingono con fermezza le interferenze, e la responsabilità di ciascuno Stato di proteggere le proprie popolazioni dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità per il tramite di strumenti necessari ed appropriati, ma anche della responsabilità della comunità internazionale di assicurare la massima protezione.
Tuttavia, la teoria può differire senza alcun dubbio da quella che è la prassi su due differenti parametri. Il primo si basa sulla ragione che il diritto ha i suoi limiti, come è stato già delineato con il c.d. criterio de lege lata. Per quanto inerente la questione migratoria, la vicenda della nave Aquarius evidenzia che sia fattibile o possibile che gli Stati possano non accettare nel loro territorio marittimo ossia nel proprio mare territoriale un’imbarcazione con a bordo gli individui che migrano, nel senso che i cittadini di Paesi terzi non hanno alcun diritto generale a fare ingresso e a poter soggiornare nel territorio degli Stati membri dell’UE, e solo la presenza di nette esigenze di protezione, non legate a motivi di carattere economico, vincola a consentire il soggiorno. Tuttavia, vi è la possibilità di puntare il j’accuse nei riguardi di coloro che favoriscono l’immigrazione clandestina, supportando il soggetto migrante richiedente asilo e, quindi, considerarli responsabili di favoreggiamento all’immigrazione illegale. Si veda, a titolo di esempio, il caso dell’Ungheria, in cui il Parlamento ha approvato una legge di restrizione alle ONG che aiutano i richiedenti asilo. Il secondo si fonda sulla ragione che l’aderenza alla posizione etica scelta, lascia sovente perplessi, se si punta l’occhio sui comportamenti che alcuni Stati hanno espresso come nel caso del Segretario di Stato francese per le questioni d’asilo e migratorie Theo Francken, il quale ha dichiarato che l’immigrazione illegale deve cessare; Matteo Salvini, vice Primo Ministro e Ministro dell’Interno del governo italiano, che vuole che si faccia un censimento per verificare quanti immigrati sono irregolari per poi espellerli, che gli fa eco il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, il quale sottolinea la necessità di applicare il criterio della tolleranza zero con il diritto penale per ogni immigrato che attraversa la frontiera illegalmente. Da tutto ciò si può dire che vale ancora oggi il broccardo non omne quod licet honestum est, una massima del giurista Paolo, del III secolo d.C., che osservava che ciò che è giuridicamente lecito può essere diverso da ciò che è moralmente buono, nel senso che si delinea una dicotomia fra il parametro dell’etica e quello del diritto, sebbene entrambi mettono delle prescrizioni e delle norme da cui in questi due ambiti possono sorgere dei conflitti.
In conclusione si può asserire che gli Stati membri assieme all’UE, organizzazione alla pari delle altre organizzazioni internazionali, ma a carattere regionale, hanno preferito una netta posizione sul piano etico, in virtù del fatto che tali entità statali sono stati edificati su valori e principi della democrazia, dello stato di diritto e della necessità del rispetto del diritto internazionale dei diritti della persona.

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