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L’Europa non è una ricca famiglia in decadenza. 5 idee per rinascere

Di Giacomo D'Arrigo
70 anni, Sicurezza

Nel luglio del 2018, lo storico americano Victor Davis Hanson sulla rivista della Hoover Institution di Standford si è domandato cosa stia accadendo all’Europa. Guardando alla curva della storia in cui ci troviamo, lo studioso si è chiesto come sia possibile che il continente che da anni costruisce un progetto europeo – unicum nel suo genere – che coinvolge 27 Stati con una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti (i 50 Stati d’oltre oceano ne sommano poco più di 300) e un Pil pari se non superiore a quello degli Stati Uniti (vuoto per pieno, circa 20 trilioni di dollari) e con centralità geopolitica primaria rispetto a Mediterraneo, Balcani e Atlantico, sia oggi in crisi. Hanson sottolinea anche: che Roma sia il centro della cristianità, la religione più diffusa; che la Francia sia la prima tappa per turismo e l’Europa nel suo insieme è più visitata di qualsiasi altra area geografica nel globo; che l’azienda automobilistica europea (esempio che non esclude altri settori) abbia posizioni preminenti nei cinque continenti. Se si considera poi che alcune delle attuali grandi nazioni, sono nate da colonie europee – Argentina e Brasile, Canada e Usa, Australia e Nuova Zelanda – allora risalta come, già solo questi elementi siano (stati) da potenza mondiale. Guardando al passato, “forza” ed impatto che l’Europa ha avuto sul mondo sono ancora più evidenti: Roma primo impero globale, Rinascimento, Riforma, Illuminismo, Rivoluzione industriale. Pensatori, scrittori, scienziati di ieri ma globali anche oggi come Socrate, Cicerone, Copernico, Dante, Galileo, Da Vinci, Newton, ShakespeareEinstein. E poi Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, Wellington: conquistatori ed eserciti più forti sono nati qua.

Eppure oggi l’Europa sembra non funzionare ed esprime crisi. Non ha un ruolo di leadership globale e i suoi leader si percepiscono irrilevanti; appare lontana dalla rivoluzione tecnologica; si sente (senza esserlo) invasa dalle migrazioni; dipende da Russia e Paesi Opec per il proprio fabbisogno energetico; non riesce a darsi una governance efficace. Al netto di ciò che c’è di positivo, da fuori (e spesso anche da dentro) l’Unione appare ripiegata su se stessa e senza prospettiva di futuro con forte denatalità e prossimi appuntamenti elettorali che potrebbero essere decisivi per suo declino o sopravvivenza.

Una analisi impietosa. Ma nascondere limiti e sbagli del progetto europeo significherebbe solo non guardare la realtà con lenti di verità. Il più grande errore che sia stato fatto rispetto all’Europa è proprio quello di aver lasciato il terreno della critica alla stessa solo ai suoi nemici sicché per tanto tempo chi ne metteva in luce elementi sbagliati, veniva accomunato a quanti volevano (e vogliono) distruggerla quando così non è. Per dirla con Angelo Panebianco, “occuparsi dell’Europa significa anche occuparsi di limiti e difetti della costruzione europea”.

Dati invece per acquisiti “necessità” e ruolo dell’Unione rispetto al mondo e nel proprio perimetro, su cosa oggi come collettivo e come disegno, questa costruisce il proprio futuro? Al netto delle vicende elettorali e di quel che accadrà nello spazio (importantissimo) di politica e partiti alle prossime scadenze, c’è però un terreno più largo e che va oltre i protagonisti politici? Un qualche elemento su cui far leva per dare respiro e forza ad un’idea che non sia solo norme, vincoli e interessi reciproci o peggio, semplice mantenimento di memoria di una ricca famiglia oggi in decadenza.

Cosa ci serve, da dove ripartire? Dove trovare motivi ed energie nuove che (ri)generano respiro lungo e idealità capaci di determinare fatti che durano più di una stagione politica? Non solo le soluzioni di tipo istituzionale invocate da più settori (es: ministro europeo delle Finanze; elezione diretta del presidente della Commissione Ue; unione fiscale), oggi più necessarie che mai per il funzionamento della macchina, ma la leva diffusa su cui poggiare scelte e motivi del futuro della comunità continentale. Quello cioè che fa rinascere l’Europa come dimensione e non solo come istituzione agli occhi dei suoi cittadini e degli abitanti del mondo.

Quel che oggi serve all’Europa e agli europei, è un’epoca nuova. Per usare l’espressione di Luca Jahier, l’Italiano presidente del Comitato economico e sociale europeo, una reuneissance. Un’età di “passaggio tra Medioevo e Rinascimento quando ritorno a cultura classica, sviluppo della scienza, opera di forze produttive e nuove forme di governo, ci fecero uscire da secoli bui”. Oggi ci vuole un (nuovo) Rinascimento europeo.

Non un elemento o fatto o singola decisione politica e tecnica ma proprio un’epoca nuova, di passaggio e al tempo stesso, di cambiamento e cammino, di apertura e mutamento del contesto dentro cui ci si trova adesso. Serve sviluppare un tempo ed ambiti nei quali il nuovo, l’operosità, l’impianto valoriale, incrociano e diano motivo ad una platea diffusa generando appartenenza. Trasmettendo che ciò è possibile come elemento di forza globale unica e non su scala minore.

A mio modo di vedere ci sono cinque aspetti – non istituzionali – su cui lavorare perché ciò sia possibile e che possono determinare una nuova dimensione di rilancio della costruzione europea. Li accenno.

  1. La/le lingue. Il latino (la nostra lingua madre) è “parlato” sul pianeta da circa 930 milioni di persone che comunicano usando parole e verbi inventati da antichi romani. Sono europee le lingue (derivanti dal latino) con cui parla oggi il mondo: inglese, francese, spagnolo e italiano (adesso 4 lingua più studiata del pianeta!). Su questo terreno anche i “parlanti cinese” sono minori e anche loro si suddividono in numerose lingue diverse. Capirci e farsi capire, la lingua come strumento interno di coesione ed amplificatore della nostra cultura all’esterno.
  2. Capitale umano. L’Europa è la sola realtà globale che mette in campo programmi (“Erasmus+”, “Europa Creativa”, vari fondi europei settoriali) che investono sulle persone prima ancora che su idee imprenditoriali o territori. Horizon 2020 è il più grande progetto di finanziamento in ricerca e innovazione del mondo e nella sola Unione si deposita un terzo dei brevetti mondiali. L’Ue è il posto in cui vi sono più donne laureate ed ha svolto un ruolo determinante perché nel globo milioni di persone uscissero dalla povertà. L’investimento sull’arricchimento umano, formativo e di conseguenza economico e sociale su scala diffusa è solo europeo. Nell’età della conoscenza globale, tutto ciò non basta se non si conferma questo come valore, percorso da strutturare e strumento per gli europei.
  3. L’Ue è il principale partner commerciale di 80 Paesi nel mondo, esporta beni e servizi per 6 trilioni di euro (un terzo dell’export globale, cioè due volte e mezzo la Cina e tre volte gli Stati Uniti) ed è leader mondiale per export di benessere ad alta tecnologia. La nostra moneta, quella che abbiamo in tasca, è la seconda al mondo sia come valuta sia come riserva. L’Unione è una potenza economica globale temuta. Necessita però declinare tutto ciò rispetto ai singoli. Recentemente Massimo Cacciari ha detto che serve una “nuova promessa di benessere”. Nel post guerra di Italia ed Europa non c’era il benessere generico ma c’era la promessa di benessere vero dipendente dall’impegno di singoli e comunità. Questa direzione è quella da riprendere.
  4. Libertà e privacy. L’Europa è la potenza economico/culturale che ha distrutto barriere (ideologiche e non) nel mondo, è ancora oggi la sola che può farlo per due motivi: è l’unica realtà globale che non ha la pena di morte; non ha nessun timore reverenziale rispetto alle potenze tecnologiche private che possono intaccare libertà di tutti e privacy di singoli, ed ha già somministrato loro multe quando è stato necessario. Sanzioni pagate anche solo per avere la possibilità di rimanere qua dove il contesto di formazione e vivibilità è migliore che altrove. Guardando al nostro futuro, l’Ue può condizionare anche altre aree del pianeta sul versante regolatorio (il Gdpr appena varato) e di tutela della libertà. Ancor di più oggi che Usa, Brasile, Russia, Turchia, Cina per scelte politiche o di sistema, applicano chiusura e politiche di dazi economici o valoriali. Senza penalizzare l’iniziativa imprenditoriale, l’Europa sembra possa essere la sola a governare l’era tecnologica nel rispetto dei singoli.
  5. Forza di Pace. Le poche missioni europee nel mondo sono percepite “di pace” non solo dal punto di vista lessicale. Non siamo una grande realtà militare e la politica di potenza e imposizione non è nostra al contrario di altri competitor. Ambiamo al primato dello sviluppo pacifico e contendiamo agli Usa i Nobel per le scoperte che vanno in questa direzione. In tal senso, la vera forza europea è il nostro soft power che per stare a Joseph Nye, il docente di Harvard che l’ha definito, misura due cose: “la capacità di influenza e persuasione di uno Stato e delle sue élite politiche, economiche e culturali sulla scena internazionale, escludendo qualsiasi riferimento alla potenza militare, e l’abilità conseguente di ciascuno Stato a contare sempre di più nel contesto economico globale attraverso un meccanismo di interdipendenze utili a rafforzare il proprio potere nel mondo“. Una politica estera e di difesa europea che sia visibile e incida, ci farà diventare ancora più luogo del Rinascimento positivo proprio perché non ambiamo ad imporre nulla agli altri. Non definiamo il nostro perimetro come una fortezza ma come una comunità aperta.

Il nuovo Rinascimento che serve all’Europa non è solo quello che parla di speranza e opportunità, ma che li declina concretamente dentro un contesto identitario. Il contrario di identità è l’anonimato e l’Ue deve dire a chi la abita ed a chi ci guarda da fuori che la sua identità è quella definita: da un proprio profilo ma cosmopolita; da capitale umano pronto alle sfide globali; da economia che sviluppa progresso diffuso; da libertà e tutele; da soft power globale. La mobilità (di persone, aziende, competenze e dati) che questi cinque punti generano sul Vecchio continente, fanno la cifra dell’Europa come potenza.

Il senso profondo della dimensione sovrannazionale (e dello scegliere di stare insieme) non è quello della retorica che negli ultimi anni non è servita ne ai singoli ne all’Europa, ma che quanto appena scritto e le sfide future per singoli cittadini e Stati sono affrontabili solo in una dimensione “più grande” e unitaria. Per avere una stima, con gli attuali tassi di crescita, nel 2030 nessuno dei Paesi continentali che oggi fanno parte del G7, continuerà a starci ancora. L’Europa unita si.

Non è una prova nuova. Abbiamo già avuto un primo breve, recente periodo di “rinascimento”, legato ad un impegno/obiettivo collettivo: la nascita dell’euro come moneta unitaria. Negli anni immediatamente precedenti alla sua entrata in vigore, la consapevolezza diffusa di essere ad un punto in cui si stava per saltare nel futuro, è stata palese e palpabile. Non solo i singoli Paesi, ma i singoli cittadini hanno avuto la (giusta) convinzione che si fosse davanti ad una scelta che avrebbe determinato tante cose ma soprattutto ri-nascita dell’Europa a vantaggio di ognuno, toccando le coscienze di tutte le fasce sociali, professioni, corpi intermedi. Gli italiani ci pagarono pure una tassa senza lamentarsi (esplicitamente chiamata “eurotassa”) proprio per permettere al nostro Paese di essere all’appuntamento con la svolta della storia.

La sorte dell’Europa è nelle nostre mani e basta. Cercando una sfida di Rinascimento, usciremo dal nostro essere ripiegati. Stando inermi rispetto al mondo, guarderemo il nostro passato per glorificarlo o maledirlo. Ma non costruendo futuro.

Scelte istituzionali, politiche, economiche, trattati, sono importanti ma sono la conseguenza del bivio davanti a cui siamo. Trovare il nostro nuovo Rinascimento europeo sarà il terreno su cui realizzare tutte le scelte necessarie.



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