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Macron insiste per un “vero esercito europeo”. Ecco sfide e opportunità

La Francia non molla e rilancia l’idea dell’autonomia strategica del Vecchio continente dagli Usa. Lo strumento scelto è quello della European intervention initiative, un’iniziativa estranea a Unione europea e Nato per intervenire in scenari di crisi. Ieri, a Parigi si sono ritrovati i ministri della Difesa dei nove Paesi che avevano aderito già lo scorso giugno, con il nuovo ingresso della Finlandia. L’obiettivo, nonostante tutte le rassicurazioni dei funzionari transalpini, l’ha chiarito qualche giorno fa il presidente Emmanuel Macron: creare “un vero esercito europeo”, che permetta di slegare il Vecchio continente dagli Stati Uniti di Donald Trump. La Germania, che ha comunque aderito, mostra qualche perplessità, le stesse dell’Italia, che invece rimane fuori dallo slancio francese.

L’INIZIATIVA DI MACRON

L’idea della European intervention initiative (Ei2) è stata lanciata da Macron a settembre dello scorso anno. Una prima lettera d’intenti è stata firmata alla fine di giugno dai ministri della Difesa di Francia, Germania, Belgio, Regno Unito, Danimarca, Estonia, Olanda, Spagna e Portogallo. Nell’incontro di ieri si è aggiunta anche la Finlandia, partecipando così ai lavori per definire l’agenda dell’iniziativa. L’obiettivo è creare una struttura estranea all’Unione europea e alla Nato che dovrebbe servire per garantire una risposta rapida in caso di crisi, militari e civili. Prevede infatti la collaborazione a livello di pianificazione e analisi, ma anche sull’eventuale risposta successiva. “In un ambiente in cui minacce e sconvolgimenti geopolitici o di natura climatica si moltiplicano, l’iniziativa deve mandare il messaggio che l’Europa è pronta, che l’Europa è capace”, fanno sapere dal ministero della Difesa francese.

ADERIRE PER ORIENTARE

La nutrita partecipazione allo slancio d’oltralpe non è certamente da intendere come l’appiattimento della volontà di altre nove capitali a quella di Parigi. Partecipare vuol dire anche cercare di orientare, esercitando tutta la pressione che si ha a disposizione. “Per quanto l’iniziativa francese sia di carattere meramente politico, abbia contenuti piuttosto limitati e nasconda la volontà di Parigi di egemonizzare il dibattito in sede europea, non è non sedendosi ai tavoli che si può sperare di incidere sulle decisioni”, ha spiegato il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa. Sarà forse questo l’obiettivo di Berlino, che nell’ambito della Difesa dell’Unione europea ha già dimostrato di prediligere un approccio “inclusivo” rispetto a quello “esclusivo” francese.

DALLA DELUSIONE PER LA PESCO

La linea tedesca dell’inclusività ha prevalso per la cooperazione strutturata permanente (Pesco), che Parigi immaginava sin dall’inizio come una collaborazione tra pochi Paesi in grado di garantire rapidità decisionale e operativa. Così non è stato, e alla Pesco hanno aderito ben 25 Stati. Proprio l’insoddisfazione per tale evoluzione potrebbe aver portato i transalpini a cercare una via alternativa per recuperare peso politico. “La Francia voleva qualcosa di diverso, ma la Germania non ha voluto – ci ha spiegato il generale Camporini – e così ora è arrivata una proposta al di fuori di ogni schema esistente, e che risponde anche al desiderio di tenere il Regno Unito legato al sistema di difesa europeo”. Il problema è che, con dieci Stati e la previsione di aggiungerne altri, l’Ei2 potrebbe incappare nello stesso problema della Pesco, facendo registrare una lentezza decisionale (inevitabile tra Paesi che hanno politiche estere differenti, si pensi al Portogallo e all’Estonia) non in linea con l’idea di “prontezza operativa”.

LA SCELTA ITALIANA

È anche questa la perplessità che ha portato l’Italia a non aderire al progetto dell’Ei2, il cui primo accordo veniva siglato a margine della ministeriale Difesa della Nato di fine giugno, a pochissimi giorni dall’insediamento del nuovo governo. Le ragioni per il “no” del nostro Paese sono state ben spiegate a luglio dai ministri Elisabetta Trenta e Enzo Moavero Milanesi, in audizione alle commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera. “Esiste un accordo in Europa che si chiama Pesco, e l’Ei2 altro non fa che prendere i Paesi che vi aderiscono più la Gran Bretagna e dargli una missione simile”, ha spiegato la Trenta. “È un’iniziativa parzialmente europea”, da guardare con “cauta e doverosa prudenza”, ha rilanciato Moavero. D’altra parte, aveva aggiunto la titolare della Difesa “il contenuto dell’Ei2 è anche accettabile, ma l’Italia ha una sua dignità e se chiedo che si cambi il titolo non si può rispondere che non ho capito”.

LE PERPLESSITÀ DELLA NATO

Il problema del titolo non è formale ma sostanziale. La questione riguarda il termine intervention. “Se l’intervento è civile, l’accordo non lo firmano i ministri della Difesa”, ha chiosato la Trenta. Comunque, non si esclude “la possibilità di aderire in un secondo momento”, in attesa “che ci sia un titolo corrispondente al contenuto del documento, su cui siamo disponibili a lavorare”. Per ora così non è, e l’Italia resta dunque fuori, in linea con le perplessità arrivate dal contesto dell’Alleanza Atlantica e da Washington. Nel 1998, fu l’allora segretario di Stato americano, Madeline Albright, a coniare l’espressione delle tre D, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero accettato la costruzione europea della Difesa purché avesse evitato il de-linking con l’Alleanza, duplication e discrimination. Con l’Ei2 sembra possa esserci il rischio della duplicazione, una sensazione che trova conferme nelle storiche ambizioni francesi per un’Europa più “autonoma” da Washington (e magari anche più francese).

IL PARERE DI IAN LESSER

Altri sono più cauti, interpretando l’iniziativa francese come una buona occasione per rilanciare la cooperazione del Vecchio continente in tema di sicurezza e difesa. È il caso di Ian Lesser, vice presidente per la Politica estera del German Marshall Fund of the United States. “Non c’è ragione per cui tale iniziativa non debba essere compatibile con la Nato”, ci ha spiegato. “Potrebbe fornire capacità in più nei casi in cui la Nato non trova appropriato intervenire”. In tal senso, ha aggiunto, “è anche probabile che possa essere più utile, e ancor più probabile che possa essere più utilizzata, nella periferia meridionale dell’Europa, nel Mediterraneo e oltre, tutte aree in cui la strategia della Nato è meno chiaramente focalizzata”. Certamente, ha rimarcato l’esperto, “dovrebbe essere più rilevante per la risposta a emergenze civili, e in molti casi ci potrebbe essere un nesso con contingenze di sicurezza”.

“UN VERO ESERCITO EUROPEO”

A non convincere in tal senso è l’ultima esternazione del presidente Macron, che ha parlato dell’obiettivo di creare “un vero esercito europeo” proprio per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti di Donald Trump. Le carte sono scoperte: la Francia vuole che il Vecchio continente si sleghi dal rapporto transatlantico. Dal ministero della Difesa hanno provato a minimizzare: l’Ei2 “non contraddice gli storici sforzi di difesa dell’Ue né della Nato; al contrario aumenterà l’interoperabilità tra i Paesi partecipanti”. La questione di “un esercito europeo” è però diversa. La storia insegna sempre qualcosa, e si ricorderà a proposito la Comunità europea di Difesa (Ced), nata nel 1950 da un proposta italiana, ripresa e fatta propria dalla Francia fino all’accordo del 1952, e poi bocciata proprio da Parigi due anni dopo. Oggi come allora, restano tutti i problemi operativi di integrare Forze armate con tradizioni, modalità d’impiego e proiezioni diverse, oltre alle ben note divergenze tra le politiche estere dei vari Stati.

QUALE AUTONOMIA STRATEGICA

Ad ogni modo, al cuore della questione c’è il concetto di “autonomia strategica”, che rimbalza in continuazione negli eventi dedicati alla nascente Difesa europea. Per Paesi come l’Italia (insieme a Germania e a tutta l’Europa orientale) è da intendersi come una rivalutazione del legame transatlantico, partendo da un rafforzamento dei rapporti europei richiesto d’altronde anche dall’alleato d’oltreoceano. Per la Francia ha tutt’altro sapore, quello dell’indipendenza. È bene che sia chiaro. Anche perché le partite che ci vedono coinvolti con Stati Uniti e Francia sono innumerevoli, a cominciare dalla Libia, su cui tra pochi giorni andrà in scena l’attesa conferenza di Palermo.



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