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Come fu che la cultura scivolò dal centro alla periferia del Paese

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quota 100 e reddito di cittadinanza. La manovra in sintesi per la maggioranza degli italiani. Succede che chi non ha mai acquistato un quotidiano economico si affretti all’edicola per scoprire novità sulle proprie sorti personali. Tutto giusto, per carità.
Tuttavia, scorrendo il testo e la relazione della Finanziaria 2019 “bollinato” come si dice nel linguaggio burocratico non è stato possibile rilevare alcun passaggio sostanziale dedicato alla cultura. Quasi che questa parola, questo comparto e questa speranza non fosse essenziale. Dissolta come nebbia per lasciar spazio alle cose più urgenti di quelle che non una espressione davvero brutta si direbbe la “pancia” del Paese.
A nulla servono studi e ricerche che sottolineano ogni volta il potere terapeutico delle scelte culturali. A nulla serve il grido di dolore della crisi dei consumi dirottati evidentemente verso altre opzioni, rispettabili e discutibili al tempo stesso.
Non già per una mera campagna difensiva a favore della cultura, ma se l’Istat ammonisce un’Italia ferma alla licenza media che non legge, non frequenta musei e va al cinema solo per le pellicole nel panettone e allora l’allarme è davvero concreto. Tralasciando i richiami all’art. 9 della Costituzione sempre più patologicamente inattuato, resta l’anomalia di scelte governative davvero distanti da quella che in un Paese normale si chiamerebbe crescita.
Senza cultura non c’è società. E lo dimostra ogni giorno la cronaca nera. Lo dimostrano trasmissioni televisive che mai sublimano gli esempi migliori. Lo dimostrano appunto studi che affermano che “cibarsi” di cultura aiuta a vivere meglio al punto tale che medici non italiani prescrivano terapie culturali per guarire anche dal male di vivere. E se biblioteche sotto casa sono più potenti di un lettino rivolto al sole, forse dobbiamo cominciare a credere che la cosa peggiore che può capitare al nostro Paese è il solo ascolto della “pancia” e non del cuore e della mente. Eppure ci sarebbero strumenti immediatamente attuabili per avvicinare alla cultura le persone distanti per scelta o per mancanza di possibilità. La detraibilità delle spese culturali ad esempio. Ovvero stimolare i consumi, agevolare l’accesso alla cultura. Ma questi sono anzitutto strumenti normativi che dovrebbero trovare adeguato spazio in una manovra che di fatto espelle il diritto alla bellezza dal centro delle politiche pubbliche. Il passo successivo è il baratro e l’imbarbarimento al tempo stesso.
Ora spetta al Parlamento salvare il salvabile. Ora è già tardi. Ciascuno di noi è chiamato in prima persona ad una nuova Resistenza per fronteggiare questo declino, diffondendo idee, proposte, ricordando che il dettato Costituzionale ci spinge ad essere migliori anche quando il vento sembra soffiare in tutt’altra direzione. Ecco perché occorre costruire nuovi granai per l’inverno normativo, senza mai abbassare la guardia con azioni e proposte concrete; una società davvero civile non si deve arrendere al triste avvenire.

“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”.
Marguerite Yourcenar
Memorie di Adriano

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