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Perché è importante non lasciare l’Afghanistan. Parola del presidente Trump

trump afghanistan

Il conflitto in Afghanistan non è finito. Il rischio che i talebani tornino al potere è alto, ed è per questo che la missione Resolute Support della Nato non deve ridurre i propri sforzi. È quanto emerge delle parole del presidente Donald Trump, intervenuto sul tema in un’intervista rilasciata al Washington Post. Il punto del tycoon chiama in causa anche il nostro Paese, che da tempo ha annunciato una riduzione del proprio contingente.

LA PRESSIONE SUL PRESIDENTE

Negli States, la pressione sul presidente circa l’impegno in Afghanistan è legata a due elementi. Prima di tutto, l’alto prezzo pagato in termini di vite umane. Sono stati 13 i militari americani rimasti uccisi dall’inizio dell’anno, 2.400 da quando gli Stati Uniti sono intervenuti nel Paese, ormai 17 anni fa. Le ultime vittime solo due giorni fa, quando tre militari sono stati colpiti dall’esplosione di un ordigno piazzato a bordo strada nella provincia di Ghazni, una di quelle con la maggiore attività da parte dei talebani. Pochi giorni prima, era rimasto ucciso dal fuoco amico il sergente dell’Esercito Leandro Jasso.

NESSUN RITIRO

Il secondo fattore di pressione sul presidente è rappresentato dalla linea intrapresa circa il conflitto, decisamente opposta rispetto a quella proclamata durante la campagna elettorale. Allora, Trump proponeva il ritiro del contingente americano, per via di un impegno troppo oneroso e considerato non corrispondente agli interessi degli Stati Uniti. Poi, una volta eletto, il cambio di rotta. Complice il segretario alla Difesa James Mattis, tutt’altro che convinto dell’ipotesi di disimpegno da tutto il Vicino e Medio Oriente (uno dei dossier su cui i due sono sempre stati distanti, tanto che si vociferava, fino a qualche settimana fa, l’ipotesi di un avvicendamento al Pentagono).

LE PAROLE DI TRUMP

Eppure, sull’Afghanistan, Trump sembra essersi allineato perfettamente al generale. Non c’è ad ora nessuna intenzione di ridurre il numero dei militari statunitensi nel Paese (circa 7mila). “Siamo lì perché ogni esperto con cui ho parlato, mi ha detto che se ce ne andassimo, loro (i talebani, ndr) vincerebbero; l’ho sentito più e più volte”, ha detto il presidente. D’altronde, ha aggiunto al quotidiano, i negoziati tra il governo di Kabul e i talebani stanno procedendo verso un accordo che metta fine al conflitto, ma “è ancora troppo presto per dire cosa succederà”. Non c’è nessuna “tabella di marcia”, e dunque è prematuro pensare a una riduzione dei militari impegnati.

IL CONTESTO NATO

Tale linea è confluita all’interno del contesto Nato, in cui gli Usa hanno chiesto più volte agli alleati di proseguire l’impegno della missione Resolute Support. A cogliere l’appello è stato per primo il Regno Unito, che lo scorso maggio si diceva pronto a aumentare di 400 unità un contingente che attualmente ne conta 500. Un’intenzione in cui, alla luce della Brexit,si nasconde la volontà di rafforzare il legame con l’alleato d’oltreoceano, nonché la posizione all’interno dell’Alleanza Atlantica. Posizione che piace alla Nato. “Siamo in Afghanistan perché abbiamo imparato che prevenire è meglio che intervenire a posteriori”, ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg, intervenuto la scorsa settimana al “Rome Med 18”, organizzato dall’Ispi e dalla Farnesina. L’impegno di supporto, addestramento e advising alle Forze di sicurezza afgane è finalizzato “a evitare che talebani e altri gruppi terroristici tornino al potere”.

LA POSIZIONE ITALIANA

Parole pronunciate da Stoltenberg a fianco del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, espressione di un governo che ha ribadito l’intenzione di ridurre il contingente italiano, attualmente pari a 900 unità (la seconda forza Nato). Un annuncio in tal senso era in realtà già arrivato dal precedente esecutivo, in linea con l’esigenza di orientare gli sforzi verso aree di interesse più diretto, dal Niger alla Libia. La stessa impostazione è stata spiegata dalla Trenta, che ha quantificato il ridimensionamento in circa 200 militari già quest’anno. “Non abbandoneremo le nostre responsabilità in Afghanistan”, ha comunque promesso a Stoltenberg. Eppure, “apriremo ad altri Paesi che vorranno lavorare con noi nell’area sottoposta al nostro controllo”. Purtroppo, ha detto concludendo, “ci sono momenti in cui non possiamo fare il 100% di quello che facevamo in passato”.



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