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Per convivere riscopriamo il senso del sacro. Parla Pallavicini

pallavicini

“I popoli rivieraschi del Mediterraneo hanno destini comuni. È questo l’insegnamento di Giorgio La Pira che dobbiamo avere sempre con noi”. Con queste parole il premier Giuseppe Conte saluta la quarta edizione di Med 2018 giunto al suo quarto appuntamento. L’evento, organizzato da Ispi e ministero degli Esteri, è pensato come un foro nel quale diverse e importanti realtà internazionali di confrontano su temi che in maniera più stringente influenza la politica estera degli Stati e il dibattito pubblico.

Il sindaco beato che riunì nella sua Firenze i sindaci di tutto il mondo, a testimonianza di preoccupazioni comuni e condivise, viene evocato anche nel corso della conferenza “A New Islamic Identity: Politics, Science And Culture In A Plural World” che ha visto la partecipazione del prof. Alberto Melloni, professore di Storia della Cristianità presso l’Università di Reggio Emilia; Mohammad Bagheri, ex direttore dell’Istituto di Storia della Scienza dell’Università di Teheran; Rached Ghannouchi, presidente del partito Tunisian Muslim Democrat Ennahda Renaissance; Yahya Pallavicini, vicepresidente di Co.Re.Is. e Olivier Roy, del Robert Schuman Center for Advanced Studies.

“Nel mondo musulmano abbiamo visto quanto può essere pericolosa la ideologizzazione della religione islamica” – dice Yahya Pallavicini dal palco -. Dobbiamo sforzaci di contrastare un pensiero egemonico e abbracciarne uno ecumenico. L’esempio di Giorgio La Pira è eccellente, dovremmo riempire le biblioteche di tutti i nostri Paesi dei suoi libri”.

A margine della conferenza abbiamo sentito proprio Pallavicini, vicepresidente della Co.Re.Is., con il quale abbiamo fatto il punto sullo stato della convivenza interreligiosa.

Lei, nel corso della conferenza, ha detto che non è possibile e non è giusto parlare di Islam moderato, da un punto di vista religioso. Secondo lei com’è possibile far passare questo messaggio senza spaventare?

È una buona domanda. Il tema è trovare una nuova identità islamica in un mondo plurale. La nuova identità islamica, di ispirazione anche europea, impone il passaggio da un Islam politico ed egemonico a un Islam ecumenico. Se siamo ecumenici non abbiamo bisogno di abbassare lo scenario in un moderatismo di facciata.

Come si arriva ad un Islam europeo?

Essendo persone integre, intelligenti ed oneste che non confondono la dimensione dello spirito con quella della società civile. E allora gli estremismi si annullano perché non fanno parte del Dna dell’uomo. Più che Islam moderato contro islam fanatico la dicotomia dovrebbe essere tra autenticità contro manipolazione. Quindi l’idea è trovare il discernimento sul sapore o sul sapere. Quando qualcosa sa di buono allora sa anche di vero. Invece quando qualcosa sa di marcio allora vuol dire che è anche fasullo.

Perché la religione islamica è diventata contenuto politico?

C’è stata una grossa decadenza nella comunità islamica internazionale. A livello politico hanno pesato molto le ingerenze straniere e le lotte di potere, in seguito alle quali sono stati posizionati pupazzi e burattini in punti strategici, per interessi che vanno al di là delle questioni nazionali. Dall’altro lato c’è stata una grande decadenza a livello culturale, intellettuale ed educativo. Quindi lo sviluppo del pensiero religioso si è un po’ inaridito.

La trasformazione politica dell’Islam la troviamo in questa aridità intellettuale?

Esatto. Questa combinazione tra aridità intellettuale e decadenza o corruzione politica ha creato una grossa crisi sia sociale che filosofica. Quindi è stato facile per dei movimenti di propaganda islamista un po’ più organizzati prendere il sopravvento e mettere in ostaggio il popolo, la religione e la politica. La corrente della quale mi onoro di far parte da almeno 15 anni cerca di mettere insieme sapienti e saggi, sapienti e saggi, teorici e giuristi consiglieri musulmani nel tentativo di ripristinare un certo ordine ed equilibrio tra responsabilità politica e non fondamentalismo, coerenza religiosa e non fanatismo.

Il fanatismo religioso e la mancanza di tolleranza religiosa continua ad essere un pericolo per gli uomini. Pensiamo al dramma che sta vivendo Asia Bibi in Pakistan.

Il Pakistan sta faticosamente cercando di trovare un equilibrio politico e anche religioso. Non è facile perché c’è una dimensione nazionalista che è all’inizio della sua fondazione. Inoltre l’identità islamica è stata oggetto di una sclerotizzazione da parte di alcune scuole religiose, così come avvenuto in Afganistan e nell’Asia centrale. È necessario un lungo e complesso percorso di rinnovamento.

In cosa la possiamo leggere questa decadenza della quale parla?

Una spia è la mancanza di rispetto della nei confronti di altre minoranze, è un indicatore di quanto sia profonda la crisi e l’incoerenza. La dichiarazione di Marrakech di tre anni tendeva proprio a ribadire l’importanza del rispetto condiviso tra credenti e cittadini che è presente anche nella Carta costituzionale di Medina sin dai tempi del profeta. Un musulmano che usa violenza nei confronti di un altro credente è un cattivo credente, un cattivo cittadino e pessimo governatore. C’è una complessità del Pakistan come c’è una complessità della Siria, ma il fatto che la barbarie si manifesti con punte di violenza nei confronti dei fratelli o delle sorelle dimostra in termini neanche troppo metaforici che non abbiamo più il senso della famiglia umana dei credenti dei fratelli in Abramo che siano ebrei, cristiani o musulmani.

Si è perso il senso del sacro.

Esattamente. Si distruggono i credenti i templi, le moschee si saccheggiano le tombe i cimiteri, i simboli degli altre religioni. È una barbarie che non ha a che fare né con la politica né con la religione.



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