Forse perché si è trattato dell’ultima relazione che Giuseppe Guzzetti ha svolto da presidente dell’Acri, dopo il lungo cursus honorum al servizio del Paese, essa ha assunto un significato più ampio, diventando una vera e propria “lectio magistralis”. Innanzitutto per i contenuti teorici che vi sono enunciati e che hanno messo nella giusta prospettiva il ruolo – o per meglio dire: la missione propulsiva – della finanza verso la crescita economica giusta e sostenibile, non speculativa. La riflessione di Guzzetti ruota attorno a due considerazioni. La prima è di carattere strategico: il prevalere di un approccio congiunturalista ai drammatici problemi suscitati dalla crisi del 2008, la cui emergenza economica è in buona parte superata, ma che resta del tutto irrisolta nelle sue cause profonde. Dice Guzzetti: “La nostra società è da tempo concentrata sul presente, poco propensa ad alzare lo sguardo per mettere a fuoco le dinamiche del futuro. Ancor più che nel passato, questa ritrosia a misurarsi con il frenetico evolversi degli scenari (tecnologici, sociali, geopolitici, etc) potrebbe determinare ricadute negative particolarmente importanti”.
Questo approccio generale influenza ed è influenzato dalla finanza. Ecco, dunque, la seconda considerazione: esistono due finanze. Una positiva, regolata e attenta alla crescita, ma ne esiste una negativa che si muove ai margini della legalità e non è interessata al bene comune. Ancora dal testo: “Quasi la metà dell’attività finanziaria mondiale è riconducibile a queste istituzioni, non illegali ma spesso piuttosto opache tanto da essere nell’insieme definite un sistema bancario ombra”. Ed è proprio la cattiva finanza che peggiora il quadro già problematico del disordine globale, in quanto, confermando la preoccupazione strategica iniziale: “guarda alle problematiche reali con un approccio esclusivamente speculativo, concentrandosi tendenzialmente sui riflessi a breve termine degli scenari con cui la comunità si confronta. Questo comportamento finisce con il costituire una causa non secondaria nella crescita dell’instabilità dell’intero sistema”.
Questo scenario è reso più complicato dalla crescita esponenziale della finanza. Ne corso degli ultimi 20-25 anni di almeno 4-5 volte quello del Pil globale, raggiungendo la considerevole dimensione di almeno 10 volte l’economia reale, mentre erano alla pari negli anni ‘90. La cruciale domanda che discende da queste considerazioni è posta da Guzzetti con la consueta estrema chiarezza, chiedendosi se: “l’ampliarsi dei volumi della finanza abbia una positiva relazione con la dinamica dell’economia reale”. La conclusione è secca: “La riposta è negativa”! Che fare dunque? Sarebbe auspicabile, ammette Guzzetti, un intervento di sistema, una riforma globale delle regole del gioco; ma realisticamente riconosce che mancano sia la sintonia politica necessaria, sia una “comune visione” sul ruolo della finanza stessa.
La mancanza di una seria e condivisa riflessione sullo stato del capitalismo o e della sua evoluzione e della governance mondiale non è, però, motivo di rinuncia, ma di ricerca di altre strade. Ne vengono indicate due. La prima, classica, ma inattuata: un rafforzamento del sistema di regole, a cominciare dall’Europa che deve dotarsi di un Parlamento con più poteri, dell’Unione bancaria, di politica economica più coraggiosa.
Ma – e qui sta il cuore della “lectio” – soprattutto praticando l’altra strada, L’allargamento della dimensione etica della finanza. L’etica assunta, però, come il naturale metro di misura delle scelte finanziarie e non come una variante elitaria, praticata da una nicchia di volonterosi dediti a un’opera buona, bensì come un vero e proprio investimento. Il passo della relazione è particolarmente pregnante: “Quando si parla del rapporto tra etica ed economia, tra etica e finanza sono molti quelli che esprimono un senso di fastidio, come se questo fosse un argomento secondario o addirittura non pertinente nella messa a fuoco delle problematiche economiche sul tappeto”. E, invece: “L’agire umano comporta sempre una scelta etica”.
Ma, non basta; l’inderogabile assunzione quotidiana di una responsabilità individuale deve trovare un “riscontro collettivo”, fondato su “presupposti etici condivisi”. Il primo dei quali è andare oltre la semplice identificazione tra etica e regole. Ovvero l’alibi per il quale basta rispettare le regole per pensare che ciò esaurisca il comportamento etico. L’etica ha, infatti, “una valenza più profonda e al tempo stesso più ampia”. Soprattutto in questa epoca di grandi trasformazioni l’etica è “la bussola”. Non possiamo, infatti, aspettare, ammonisce Guzzetti, che la “separazione tra giusto e non giusto venga sancita dal rigore della legge, un evento quest’ultimo che spesso si realizza dopo mesi o anche anni”.
Si potrà sostenere che si tratta di affermazioni non nuove; che ormai fanno parte del pensiero diffuso, ancorché poco praticate. Eppure sentirle affermare in un giorno particolare (la giornata mondiale del risparmio che si celebra il 31 ottobre) e in una sede prestigiosa (la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, a Roma) e da una voce così autorevole e coerente toglie loro qualsiasi patina retorica. Tanto più che Guzzetti non si limita alla… filosofia, ma formula una precisa denuncia che è preceduta dall’esempio (il lungo elenco di interventi sociali da lui promossi, tra cui quello citato del sostentamento di bambini poveri a Milano. Sì, proprio bimbi poveri proprio a Milano, ha ribadito, con foga, il relatore!). Ma anche seguita dall’affermazione, finalmente esplicita, che investire in finanza etica conviene: “La finanza sostenibile produce rendimenti più in linea che con le medie di mercato di altri investimenti che non hanno questa specifica connotazione”. E, ancora: “L’etica è una componete fondamentale delle relazioni economiche. L’osservanza dei relativi principi ritorna a beneficio, almeno nel medio termine, della positività e proficuità delle relazioni stesse. La mancanza di deontologia professionale, ai diversi livelli, non paga, neppure sotto il profilo dei ritorni attesi da una determinata attività. Non ottemperare a tali principi, alla lunga si riverbera, come abbiamo potuto osservare storicamente, contro chi a essi si sottrae”.
Forse anche per questa crescente redditività la finanza etica si sta diffondendo. Ma c’è qualcosa di nuovo nella sensibilità sociale che va oltre il puro calcolo di guadagno. Infatti, come emerge anche dall’indagine sul risparmio, quasi l’80% degli italiani dichiara attenzione alle esigenze dei dipendenti, dei consumatori, dell’ambiente e, in generale, sul tessuto sociale delle loro comunità. Per cui: “I risparmiatori non sono indifferenti alla destinazione ultima delle loro disponibilità e sono quindi pronti a cogliere il diverso spessore di prassi finanziarie impegnate a non smarrire il senso di un futuro diverso e il valore di una comunità solidale”.
Per andare più speditamente su questa strada, però, serve una maggiore cultura finanziaria e strumenti di sostegno legislativi. Ed è ciò che abbiamo fatto in Italia – e che Guzzetti riconosce – con la legge di bilancio del 2017, con interventi normativi e fiscali. Ma la relazione affronta, anche, di petto, alcune questioni cruciali della vita economica italiana. In particolare con i riferimenti, a dir poco… espliciti, su Cassa depositi e prestiti, inibendone il ruolo di ciambella di salvataggio delle aziende in difficoltà, ben manifestata nella affermazione che di tutto ha bisogno l’Italia, meno che di una banca pubblica… In particolare è stato significativo il passaggio sulla contrarietà ad intervenire su Alitalia. Non solo per ragioni economico-finanziarie ma anche per una precisa idea di politica industriale.
Ma è nelle ultime – intense ed emozionate – righe che la politica irrompe nella relazione di Guzzetti, attraverso un alto monito morale sullo stato di salute etica del Paese, pericolosamente diviso dall’odio. Ma, penso, che, a maggior ragione su questo punto, conviene lasciare a lui la parola, che andrebbe meditata da tutti coloro che hanno delle responsabilità in questo frangente difficile della nostra convivenza.
“Nella stagione che stiamo vivendo un veleno sta insinuandosi nella nostra vita quotidiana e colpisce i gangli più delicati della nostra democrazia. È l’odio che spacca il Paese, come emerge da episodi che quotidianamente ci allarmano. L’odio non viene dal nulla. I bisogni reali non possono essere ignorati. Non vanno strumentalizzati, ma affrontati e risolti. Anziché percorrere la strada spesso difficile e impervia del confronto democratico, si preferiscono scorciatoie pericolose.
L’avversario non deve essere un nemico; la diversa opinione non va demonizzata. La dialettica è utile e necessaria per una positiva prospettiva di cambiamento e i problemi del Paese non vanno imputati ad ipotetici poteri forti. La pluralità dell’informazione va tutelata come ricchezza di una società democratica. Affido a Voi, classe dirigente del Paese, l’urgenza di una riflessione ma, soprattutto, di comportamenti e di atti che fermino questa deriva che mina alle radici la nostra democrazia”.