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L’Ue suona il campanello: l’Italia è fuori dal Patto di stabilità. E adesso?

Non c’era bisogno che lo dicesse la Commissione europea che sì, l’Italia non cresce e non crescerà. Cioè, la seconda manifattura europea, la settima economia mondiale ultima nel Vecchio Continente alla voce pil. Finissero qui i problemi, ci si potrebbe concentrare per bene sul problema crescita e magari limitarsi a qualche aggiustamento in manovra (entro il 13 novembre Bruxelles attende una versione riscritta della manovra, qui l’intervista di ieri al consigliere del ministro Giovanni Tria, Pasquale Lucio Scandizzo). Invece no, ci sono almeno altre due zone franche su cui l’Italia rischia di farsi male e molto. Il deficit e lo spread. Sì perché secondo i calcoli del governo comunitario, il prossimo anno il deficit salirà al 2,9%, o,5 punti percentuali in più rispetto alla stima del governo.

Vuol dire che si spenderà molto di più di quello che si quello che effettivamente si produce, ricorrendo all’allentamento di bilancio. Tutto questo porta al secondo problema, la differenza tra il rendimento dei titoli tedeschi e italiani. Lo spread non si è impennato e va bene, ma nemmeno diminuisce e questo comporta un lento, lentissimo lavoro ai fianchi delle banche. Ad oggi dunque l’Italia è fuori dal patto di Stabilità: non cresce, fa deficit ed è costretta a pagare un rendimento più alto per ogni titolo di Stato che emette.

Bruxelles tagliato le previsioni di crescita dell’Italia per quest’anno all’1,1% (le previsioni diffuse in estate indicavano un +1,3%), mentre ha ritoccato lievemente al rialzo quelle del 2019 all’1,2% e del 2020 all’1,3%. Dopo un aumento dell’1,6% nel 2017, ha ricordato Bruxelles, l’espansione del prodotto interno lordo italiano ha visto un rallentamento a causa dell’indebolimento del settore manifatturiero e delle esportazioni nella prima metà di quest’anno. Ma è sul deficit che i problemi cominciano a farsi seri. Al 2,9% del pil sul 2019 e al 3,1% sul 2020, dopo l’1,9% atteso sul 2018. Ancora più pesante la revisione al rialzo sul disavanzo strutturale, al 3% del pil nel 2019 e al 3,5% nel 2020. Al contempo, Bruxelles ha ritoccato al rialzo le previsioni sull’andamento del rapporto debito-pil dell’Italia, al 131% nel 2019, dopo un 131,1% nel 2018, e al 131,1% nel 2020.

Numeri condivisi questa mattina anche dal Centro studi Economia reale di Mario Baldassarri (qui un suo recente intervento su Formiche.net). Impossibile che per il 2020 ci si attenda una diminuzione del deficit, visto e considerato che per quell’anno tutte o quasi le misure del contratto saranno ormai a regime, ma in assenza di crescita. “L’obiettivo di deficit pubblico del 2,4% posto dal governo per il 2019”, scrive Baldassarri nel suo rapporto, “sembrerebbe aritmeticamente raggiungibile. Ma altrettanto aritmeticamente raggiungibile è un rapporto deficit/pil al 3% nel 2020, ben lontano dagli obiettivi indicati dal governo”.

Chi ci rimette è però chi investe in debito pubblico italiano, chi lo compra insomma (il Capo dello Stato questa mattina ha ribadito la necessità per il governo di mettere al centro di tutto il bene comune, crescita e risparmi inclusa). Banche, assicurazioni, semplici investitori e normali cittadini. “Il rialzo dello spread in Italia rimane preoccupante per le conseguenze sul settore bancario, ma al momento non ha contagiato altri stati membri”, fa sapere la commissione, escludendo tuttavia un contagio con le altre banche dell’Unione, almeno per il momento. “In Europa, l’incertezza sulle prospettive per le finanze pubbliche in Italia ha portato a rialzo degli spread e l’interazione del debito sovrano con il settore bancario è ancora preoccupante”.

La domanda a questo punto è. Risulta ancora possibile mantenere inalterata l’attuale natura della manovra italiana? Certo che no, a sentire il commissario per gli Affari economici, Pierre Moscovici. Il problema è che l’Europa non sembra aver intenzione di trattare con l’Italia come raccontato nei giorni scorsi da questa stessa testata. Oggi la conferma, per bocca dello stesso commissario francese. “Con l’Italia non vedo come sia possibile incontrarsi a metà strada. In passato non è stata negata flessibilità all’Italia ma le regole devono essere rispettate. Non si può avere un negoziato per accettarne solo una parte”.

Non che al Tesoro siano di avviso diverso. Per essere chiari ormai la rottura è confermata, come appare evidente dalle parole dello stesso Tria a commento delle previsioni di Bruxelles. “Le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano sono in netto contrasto con quelle del governo italiano e derivano da un’analisi non attenta e parziale del Documento programmatico di bilancio , della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani, nonostante le informazioni e i chiarimenti forniti dall’Italia”.

 

 

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