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La guerra all’Isis non è finita ed è più complessa di prima. Il punto di Trenta e Stoltenberg

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La lotta allo Stato islamico è solo passata in un’altra fase. La minaccia resta, è pericolosa e persistente. Ed è per questo che l’Italia farà fede agli impegni presi in Iraq e Afghanistan, pur riorientando la propria azione verso scenari di più diretto interesse, a partire dalla Libia. Parola del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, intervenuta insieme al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ieri alla giornata di apertura del forum “Rome Med 18”, organizzato dall’Ispi e dal ministero degli Esteri. Con loro, nella sessione dedicata alla minaccia terroristica e moderata dal presidente della Rai Marcello Foa, anche il capo della diplomazia irachena Mohamed Ali Alhakim.

LA STRATEGIA ITALIANA

L’Italia non lascerà né l’Iraq né l’Afghanistan, ha evidenziato la Trenta, ma rivedrà i numeri dei contingente in linea con l’evoluzione delle esigenze. Per quanto riguarda il primo teatro (su cui sono presenti 1.400 militari italiani), il ritiro riguarderà le forze poste a protezione della diga di Mosul, mentre proseguiranno le attività di training rivolte agli iracheni, basate “sui rapporti di lunga data che abbiamo con il Paese”. Per l’Afghanistan, già quest’anno il ritiro riguarderà 200 unità sulle 900 attualmente dispiegate nell’ambito della missione Nato Resolute Support. “Manterremo le nostre responsabilità per la stabilità dell’Afghanistan”, ma “apriremo ad altri Paesi che vorranno lavorare con noi nell’area sottoposta al nostro controllo”. Parallelamente, il ministro ha ricordato anche gli impegni in Niger (missione sbloccata da qualche settimana) e in Libia, scenari strategici per il contrasto allo sfruttamento dei flussi migratori e per la stabilità dell’area. Lo stesso vale per il Medio Oriente, dove lo Stato islamico è tutt’altro che un lontano ricordo.

DAESH NON È SCOMPARSO

“Daesh non è scomparso, ma sotto l’insostenibile pressione dei suoi avversari, è come se fosse evaporato, trasformandosi da presenza visibile a nemico invisibile”, ha difatti spiegato il ministro Trenta. La disarticolazione dopo le sconfitte subite a Raqqa e Mosul, lo ha portato a “una sorta di ritorno alle origini, sia come presenza sul territorio, sia come modalità d’azione”. Si tratta di “un movimento annidato con piccole cellule disperse in aree marginali, ma pericolosamente in grado di mantenere una costante pressione su centri urbani con attentati, attacchi, omicidi mirati di capi tribali, sindaci e funzionari governativi, oltre che sabotaggi di linee elettriche e oleodotti”. A ciò si aggiunge la sua interconnessione con i traffici criminale, dalla droga ai rapimenti, con una connotazione tutt’altro che locale. Inoltre, grazie alle nuove tecniche comunicative, che l’Isis ha dimostrato di saper usare alla perfezione, “il movimento mantiene tutta la sua potenzialità materiale e ideologica”.

LE TRE LEZIONI CHE CI LASCIA LA LOTTA AL DAESH

Evitando gli errori del passato, si potrebbe riformulare l’azione sulla base delle tre lezioni apprese. “Inizialmente – ha notato il ministro – abbiamo sottovalutato la minaccia e siamo stati costretti a subire gli eventi”. Secondo, “dobbiamo agire uniti ed in maniera coesa; i risultati fin qui raggiunti dalla Coalizione rappresentano una testimonianza concreta di ciò”. Terzo, infine, un “aspetto fondamentale: l’unica reale soluzione per sconfiggere definitivamente l’Isis è data dal coinvolgimento pieno ed inclusivo delle autorità locali e della società civile”. In particolare, il riferimento è a “un approccio inclusivo che deve essere sviluppato quotidianamente in ogni teatro operativo”, puntando su “addestramento, assistenza alle forze di sicurezza e politiche di stabilizzazione che hanno quale principale centro di gravità la popolazione locale”. Proprio questo rappresentano da sempre “le principali linee di azione italiane – ha detto la Trenta – dai Balcani all’Afghanistan, dall’Iraq al Corno d’Africa, dalla Libia al Niger”.

È CRUCIALE STABILIZZARE L’IRAQ

Un approccio inclusivo abbracciato anche dal ministro degli Esteri iracheno Mohamed Ali Alhakim, esponente del nuovo governo di Baghdad, insediatosi poche settimane fa alla fine di un complesso percorso post-elettorale. “La stabilità dell’Iraq è cruciale”, ha detto illustrando “le buone relazioni” che il Paese sta cercando di intrattenere con tutti i Paesi vicini e con i partner internazionali. Fondamentale è mantenerle (anche per il peso che hanno sulle comunità interne in un momento politicamente “fragile”), costruendo parallelamente le capacità irachene di evitare la ricomparsa del potere territoriale dell’Isis. Esse non sono solo militari, ma anche e soprattutto “di sviluppo economico” per un Paese che poggia quasi totalmente sull’export di petrolio.

IL RUOLO DELLA NATO

La stabilità dell’Iraq è obiettivo condiviso pure della Nato, ha evidenziato il segretario generale Jens Stoltenberg. “Contribuiamo a sconfiggere il terrorismo e a stabilizzare i nostri vicini perché così siamo tutti più sicuri”, ha aggiunto ricordando il contributo dell’Alleanza alla Coalizione anti-Isis. Così, “continueremo a stare in Iraq attraverso la nuova missione di addestramento (lanciata nell’ultimo summit di Bruxelles, ndr) affidata al comando canadese”. L’obiettivo è “supportare il Paese nella modernizzazione e nel rafforzamento delle proprie capacità di sicurezza e difesa, così da evitare che l’Isis ritorni”. D’altra parte, ha rimarcato Stolteberg, è questa la lezione appresa dagli interventi dell’Alleanza nei Balcani e in Afghanistan: “Per gli alleati è meglio prevenire che intervenire successivamente”. Lo stesso vale per altri contesti, dalla Libia (per cui sono arrivati i ringraziamenti all’Italia sulla recente conferenza di Palermo) all’Afghanistan, dove la Nato ha rinnovato il proprio impegno per “evitare che i talebani e altri gruppi terroristici tornino al potere”.

LE RASSICURAZIONI A STOLTENBERG

“Non abbandoneremo le nostre responsabilità”, ha promesso la Trenta a Stoltenberg per quanto riguarda il teatro afgano. Certo, “ci sono momenti in cui non possiamo fare il 100% di quello che facevamo in passato”, ed è per questo che il contingente italiana sarà ridotto, senza tuttavia escludere in futuro una decisione diversa. “Oggi – ha spiegato il ministro italiano – dobbiamo prenderci maggiormente cura della Libia”. L’impressione è che ciò faccia piacere anche alla Nato, che da qualche mese ha finalmente fatto proprie le preoccupazioni dei membri del fronte sud. Non a caso, la partecipazione al Rome Med 18 si inserisce in un mini tour italiano del segretario generale Stoltenberg, che anticipa la prossima ministeriale Esteri dell’Alleanza (in programma ai primi di dicembre) facendo capolino anche nell’Hub per il sud stanziato a Napoli, dopo gli incontri con la Trenta e il ministro Moavero Milanesi.

UN CLIMA DIVERSO

Rispetto ai giorni che seguirono l’insediamento del governo giallo-verde, il clima tra Roma e Bruxelles (fronte Nato, non Ue) è dunque sicuramente molto diverso. Allora, dopo la ministeriale Difesa di giugno, Stoltenberg era corso a Roma per incontrare Giuseppe Conte, sulla scia delle preoccupazioni relative all’ipotesi della rimozione unilaterale delle sanzioni alla Russia. Ora, i timori per uno scivolamento a est dell’Italia sono definitivamente tramontati. Complici le parole di fedeltà all’Alleanza arrivate da praticamente tutti i membri dell’esecutivo. Complice, in definitiva, anche il riorientamento della Nato verso il fianco meridionale, chiesto da tempo a gran voce dal nostro Paese.

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