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Milano capitale morale dell’Italia. La visione di Maroni

Di Matteo Mascia
Milano

Milano avrà sempre la meglio su Roma e le sue liturgie. L’efficienza, la determinazione e la cultura del risultato del capoluogo meneghino sono – e saranno – gli ingredienti per sconfiggere la palude capitolina e primeggiare in Europa. Ne è convinto Roberto Maroni, l’ex ministro degli Interni, che ha elencato nel suo ultimo saggio “Il rito ambrosiano – Per una politica della concretezza” (Rizzoli, pp. 168, euro 17) tutte le ragioni alla base del primato del nord. L’autore punta il dito su cosa non ha funzionato nel nostro Paese e in Europa e su cosa oggi, nei primi mesi del governo giallo-verde, manca all’azione dell’esecutivo. Una critica ricca però di suggerimenti per far meglio.

L’ex inquilino del Pirellone ripercorre una serie di vicende personali ed elenca diverse storie di successo che hanno avuto come sfondo il Duomo e le altre città lombarde. Tra le tante, spicca la nascita di Banca Prossima, istituto di credito oggi parte della galassia Intesa e interamente dedicato al mondo del Terzo settore. Un’impresa iniziata con i prestiti rivolti agli studenti universitari e oggi focalizzata sul sostegno a cooperative sociali e associazioni considerate poco “bancabili”o ad alto rischio di insolvenza dal resto del mercato del credito. Il volume è ricco di episodi autobiografici: gli aneddoti spaziano dalle insidie della vita parlamentare che hanno tentato il giovane avvocato di Varese catapultato a Montecitorio alle estenuanti liturgie della burocrazia dei ministeri. Qualcuno è in grado anche di far sorridere il lettore. Nel 1994, ad esempio, il capo di gabinetto del Viminale, guidato da Maroni durante il primo governo Berlusconi, ci mise tre giorni a capire che poteva liberamente sedersi sulle sedie presenti di fronte alla scrivania ministeriale e discorrere con il leghista lasciando perdere per un attimo il cerimoniale. I fatti erano più importanti della forma e si doveva andare dritti al punto.

Interessantissimo il capitolo dedicato alla vicenda della candidatura di Milano come sede dell’Agenzia europea del farmaco. Maroni racconta – con dovizia di particolari – come andarono le cose, come furono i gestiti i rapporti con l’Unione europea e i Paesi membri. Un affaire complesso che ha finito per mettere in luce una certa disorganizzazione da parte della presidenza del Consiglio. Elemento che in Maroni balenò già al momento della prima riunione operativa tra i vari enti coinvolti. Quando la poltrona del rappresentante di Palazzo Chigi rimase inspiegabilmente vuota.

Il saggio del “barbaro sognante” è anche un inno all’autonomia e alle potenzialità di regionalismo che vada oltre l’attuale Titolo V della Costituzione. Solo delle Regioni con maggiori poteri saranno in grado di competere con le economie più avanzate. L’analisi sul punto è priva di preconcetti ed esalta alcune delle esperienze del meridionalismo italiano del Novecento. Non è un caso se l’avvocato di Varese arriva a definire “profetica” una delle norme contenuto nello statuto autonomistico della Regione Siciliana. L’articolo è il numero 37 e, secondo l’ex ministro del Lavoro, potrebbe essere applicato a livello centrale per costringere le grandi multinazionali del web come Facebook, Google e Amazon a pagare le imposte in Italia. Cosa si inventarono di così rivoluzionario i politici siciliani all’indomani della seconda guerra mondiale? Una norma capace di trattenere tasse e imposte in Trinacria: «Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede fuori dal territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti e impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota di reddito da attribuire agli stabilimenti e impianti medesimi». Un grimaldello per evitare triangolazioni ed elusioni a cui i siciliani rinunciarono negli anni Sessanta in cambio di maggiori finanziamenti da parte dello Stato centrale. Opzione assistenzialista che, secondo Maroni, è alla base della maggior parte dei mali del Mezzogiorno. Cinquanta anni fa come oggi.

Solo il tempo ci saprà dire quale sarà il destino dell’Italia nel continuo braccio di ferro con Bruxelles o nel confronto con i Paesi emergenti. Il nostro asso nella manica potrebbe essere proprio l’esperienza di quanto accaduto a Milano negli ultimi decenni. Una città che ha saputo diventare una “capitale” in grado di attrarre a ciclo continuo persone e investimenti. Una realtà dinamica e capace di mettere tutti nelle condizioni di competere. Un modello vincente oltre gli schieramenti politici.

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