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Pena di morte mai. Perché è importante parlarne (anche in Italia). L’appello di Sant’Egidio

Ministri della Giustizia e rappresentanti di Paesi sia abolizionisti che mantenitori, riuniti attorno a un tavolo per discutere su come fare per liberare progressivamente il mondo da una piaga importante come quella della pena di morte. È quanto si è visto alla Camera dei deputati in occasione dell’undicesimo Incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, “Un mondo senza pena di morte”. Rappresentanti di paesi come Benin, Camerun, Kenya, Lesotho, Mali, Repubblica Centrafricana, Zambia e Zimbabwe, tutti abolizionisti “de facto”, cioè senza ancora un riconoscimento ufficiale da parte delle legislazioni nazionali, ma anche di paesi tuttora mantenitori come la Malesia, la Bielorussia e il Sud Sudan. O meglio, non propriamente, visto che il ministro degli Affari legali della Malesia ha scelto proprio il palco dell’incontro organizzato da Sant’Egidio, quello delle istituzioni italiane, per annunciare l’abolizione della pena di morte nel suo paese.

L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE IMPAGLIAZZO

“La santa ignoranza moderna, per citare Olivier Roy, sembra avere tagliato il legame storico con ogni cultura umana per affidarla a ciò che è emotivo, ma che non è logico, trascinando gli individui con forza dove non vorrebbero. Sulla pena di morte è facile lasciarsi trascinare trovando giustificazioni nella religione ma anche nella ricerca di stabilità o tranquillità. Sulla società passando onde emozionali nutrite da frustrazioni e paure che pretendono decisioni rapide e semplici. Sono proprio tale presunte qualità a renderla popolare in questi tempi. Così vediamo con sgomento che la pena di morte viene giustificata dal terrorismo fanatico che vorrebbe omologare tutto o da regimi totalitari”, spiega il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, mettendo tuttavia in luce che oggi “ben 123 paesi si sono aggiunti alla moratoria contro la pena di morte, ciò significa che gli stati quando dialogano tra loro non si fidano della geopolitica delle emozioni. In un contesto di violenza parossistica si rendono conto che occorre smarcarsi dalle pratiche più orribili”.

LE PAROLE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI MOAVERO

Il punto infatti è che ad oggi, dal 2007 fino all’ultima votazione effettuata lo scorso 18 novembre, la bozza di risoluzione sulla moratoria all’Onu ha ottenuto un crescendo di consensi, registrando nel complesso solamente trenta astenuti e trentasei contrari. In Italia tuttavia il tema è diverso, la decisione di abolire la pena di morte risale molto addietro, fino al Granducato di Toscana, nel 1786. “Era un mondo diverso, meno interconnesso, ma che su punti essenziali si ritrovava”, spiega infatti il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi, presente al convegno. “La pena di morte non è né utile né necessaria, questo è il punto fondamentale del nostro ragionamento”, sottolinea subito il titolare della Farnesina, ricordando che “l’Italia fu uno dei primi paesi a non avere la pena di morte, e l’Italia unitaria nasce senza la pena di morte, anche se tornerà nel nostro ordinamento durante gli anni bui della dittatura. È un segnale: la pena di morte è lo strumento violento con cui regimi violenti affrontano le questioni gravi”.

Ma che allo stesso tempo, a livello globale, “combattere la pena di morte significa anche combattere le discriminazioni, perché spesso sono vulnerabili ad essa i soggetti meno avvezzi alla comprensione dei contesti o che non hanno le facoltà economiche per garantirsi un avvocato che le difenda”. Anche per questo, spiega il ministro, l’Italia è parte della coalizione internazionale contro la pena di morte, e all’Onu si impegna “a portare avanti questo tema in maniera dialogante e non oltranzista”, dove la collaborazione della Comunità di Sant’Egidio riveste, su questi temi, un ruolo fondamentale. Nella bozza del documento che verrà presentato a dicembre al Palazzo di vetro vede, ha spiegato Moavero, l’invito a “rimuovere l’obbligatorietà della pena di morte”, quello “agli stati che hanno optato per una moratoria a mantenerla e a non deviare da essa”, “l’aiuto legale verso chi non se lo può permettere” e infine “la necessità di informare le persone e le collettività nei vari paesi”.

L’INTERVENTO DEL GUARDASIGILLI GRILLINO BONAFEDE

Ma a chi pensa che parlarne in Italia non serva poi granché, risponde il ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafede. “Può sembrare inutile, ma l’importanza che in Italia si lanci un messaggio del genere serve ad affermare che c’è una comunità globale, una globalizzazione che consenta agli stati di sentirsi comunità oltre ai confini nazionali. Ed è meraviglioso che l’Italia possa dare un contributo di esperienza e di tradizione”, dice Bonafede. Che afferma ancora: “Quale finalità educativa è possibile con la pena di morte? La risposta è evidente: nessuna. Il concetto di rieducazione è cruciale nella cornice della certezza della pena, dove però deve anche esserci una specifica funzione di recupero e di cambiamento del condannato, di redenzione”. “La pena di morte rappresenta un momento di resa totale dello Stato rispetto alla funzione educativa, e un modo indegno di espiazione a seguito della quale lo stato deve fare le proprie riflessioni”, è la constatazione del ministro grillino.

GLI STATI UNITI D’AMERICA, UNICO PAESE OCCIDENTALE CON LA PENA DI MORTE

Tuttavia, chi crede che il tema sia desueto, almeno nel mondo occidentale, dovrà ricredersi. Un esempio su tutti? Gli Stati Uniti, dove attualmente la pena capitale è ancora prevista in alcuni Stati. “Persino il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato apertamente di sostenere la pena di morte per spacciatori di droga e terroristi”, spiega infatti George Kain, professore di Diritto Penale presso la Western Connecticut State University e testimonial della campagna contro la pena di morte della Comunità di Sant’Egidio.

“Se la pena di morte agisce come un metodo di prevenzione della criminalità è stata oggetto di dibattito per centinaia di anni”, e “siamo stati portati a credere che la pena capitale possa scoraggiare più di ogni altra punizione, perché presumibilmente, la gente teme la morte più di ogni altra cosa. Nella mia esperienza, ho imparato che non è vero”, spiega. “Non ci sono prove che la pena di morte abbia dissuaso gli omicidi, e ci sono molti altri stati negli Stati Uniti che stanno seriamente valutando l’abolizione della pena di morte. Stiamo imparando che la violenza della pena di morte non ci sta aiutando a ridurre il crimine. Questo non vuol dire che non abbiamo un problema con la violenza negli Stati Uniti. Quello che sto dicendo è che abbiamo imparato che la pena capitale non è la soluzione alla violenza nel nostro paese. La nostra violenza è causata dalla miriade di problemi sociali che incontriamo – la proliferazione di armi da fuoco, la violenza nelle nostre scuole, l’isolamento e la disperazione nelle nostre famiglie, la disoccupazione, l’abuso di sostanze, l’affiliazione di bande, la privazione dei diritti e la paura”.

IL TRAVAGLIATO CONFLITTO TRA SANTA SEDE E PENA CAPITALE

Per quanto riguarda invece la Santa Sede, storicamente la pena capitale non era mai stata esclusa in via assoluta. C’è voluto Papa Francesco, che soltanto alcuni mesi fa ha ufficializzato la contrarietà assoluta del Vaticano modificando il Catechismo della Chiesa, introducendo nero su bianco che “è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Un punto ammesso dallo stesso segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, monsignor Paul Richard Gallagher. “Oggi la consapevolezza su questo strumento aumenta, e anche la Chiesa ha conosciuto il suo iter. A lungo è stata ritenuta un mezzo estremo ma legittimo per tutelare il bene comune, ma nel ventesimo secolo c’è stato uno sviluppo significativo”, ha spiegato il religioso. Prima con il catechismo del 1992 dove la posizione è “più cauta”. Poi negli appunti di San Giovanni Paolo II all’interno della Evangelium Vitae, riconoscendo il cammino generalizzato verso l’abolizione, riconoscendone la legittimità nei casi in cui fosse un “mezzo ultimo per la difesa della società”, ovvero quasi rari o inesistenti.

Infine con la spinta data negli interventi pubblici di Wojtyła, continuata con Benedetto XVI e Papa Francesco. Quest’ultimo “incoraggiando iniziative politiche e legislative per eliminare la pena di morte”, cioè “invitando i cattolici ad impegnarsi decisamente anche nel dialogo con le autorità politiche, creando le condizioni che consentano di abolire l’istituto giuridico della pena di morte”, spiega il religioso. Ma naturalmente la questione della pena di morte non esaurisce in sé il tema della violenza globale. Ci sono le esecuzioni extragiudiziali, i linciaggi, le guerriglie, gli scontri civili, fino alle guerre vere e proprie. Allora “perché occuparci della pena di morte se quella coperta dai conflitti è così generalizzata?”, domanda in conclusione Impagliazzo, anticipando l’evento pubblico che avrà luogo a Roma il 30 novembre davanti al Colosseo, per sensibilizzare su questo tema, assieme alle altre duemila “Città per la Vita” che, ricordando la data della prima abolizione della storia, avvenuta proprio in Italia, illumineranno i loro monumenti.

“BATTERSI PER LA VITA SIGNIFICA LANCIARE UN SEGNALE A TUTTE LE VIOLENZE”

“Noi pensiamo di sì perché questa battaglia toglie legittimità a qualunque morte. Battersi per il diritto alla vita lancia un potente segnale contro tutte le altre violenze: il nichilismo che c’è dietro a chi si batte per togliere la vita agli altri è avvalorato dalla pena di morte. Si tratta di un messaggio culturale di estrema importanza. Lottare contro la pena di morte è una battaglia assoluta per la vita, per tutte le vite, una contestazione radicale contro la morte violenta, in cui la morte viene considerata sempre ingiusta. Mediante questa campagna contestiamo tutte le morti violente, restituendo la voce a tutte le vittime. La recente modifica della Chiesa cattolica è tanto più significativa quanto lo è l’impegno e la presenza dei cattolici su questo tema”.

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