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Perché investire nei droni di Piaggio Aerospace. L’audizione dell’ad Vaghi

È finalmente tornato nell’agenda dei lavori parlamentari il dossier relativo ai droni P.2HH realizzati da Piaggio Aerospace e Leonardo. Dopo l’incontro di ieri al Mise con le rappresentanze sindacali dell’azienda ligure, oggi è stata la volta dell’ad Renato Vaghi, intervenuto a palazzo Madama di fronte alle commissioni Difesa di Senato e Camera, presiedute rispettivamente da Donatella Tesei e Gianluca Rizzo. Il programma, presentato in Parlamento ormai nove mesi fa, ha ricevuto a settembre anche “la piena approvazione” del dicastero guidato da Elisabetta Trenta. In ballo ci sono le esigenze operative già spiegate dall’Aeronautica militare (oltre alle opportunità di dual use), i rapporti con gli Emirati Arabi, pronti a finanziare metà dell’investimento, e rilevanti ricadute occupazionali.

LE PAROLE DI VAGHI

Basato sul P.1HH, giunto ormai alla fine del percorso di sviluppo, il P.2HH erediterà il know how acquisito dalla filiera produttiva nazionale, superando però “i vincoli” del predecessore e aggiungendo una molteplicità di strumentazioni. Sarà invece mantenuta la natura italiana del prodotto. Pur essendo affidato alla collaborazione binazionale con gli Emirati Arabi, infatti, “il controllo delle tecnologie abilitanti sarà saldamente sotto il controllo delle autorità italiane”, ha spiegato Vaghi. Ciò si ripercuote anche sui numeri. Considerando che il P.1HH è stato finanziato al 90% dall’azionista Mubadala (fondo emiratino che possiede il 100% di Piaggio), e che al P.2HH gli Emirati partecipano al 50% dei costi di sviluppo, “il sistema-Paese italiano potrà presidiare tecnologie del valore di 2 miliardi avendo sostenuto un investimento di 766 milioni di euro”. Si tratta di “porre il sistema-Paese ai vertici di un segmento di mercato in forte crescita”, ha rimarcato Vaghi.

IL PROGRAMMA

I 766 milioni di euro previsti dallo schema di decreto ministeriale, già presentato a febbraio alle commissioni Difesa dall’allora ministro Roberta Pinotti, sono da spalmare fino al 2032. Servono all’acquisizione di 10 sistemi, ciascuno costituito da due velivoli, una stazione di comando e controllo e il relativo supporto logistico integrato. Si tratta di aeromobili a pilotaggio remoto della categoria Male (Medium altitude long endurance), destinati a potenziare le capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento delle Forze armate italiane. Nel caso di una rapida partenza del programma, si prevede la prima disponibilità della macchina certificata tra il 2022 e il 2023, per tempi di sviluppo di “48/50 mesi”, ha notato Vaghi. Per Piaggio Aerospace e Leonardo, sono rispettivamente coinvolti gli stabilimenti di Villanova d’Albenga (per la produzione dei velivoli) e quelli di Ronchi dei Legionari (per la produzione dei sistemi di comando e controllo). Partecipano anche altre aziende italiane, tra cui Umbra Group, OMA e Magnaghi Aeronautica. Comunque, oltre al ritorno di lavoro (quantificabile in un’occupazione di oltre 400 persone medie dirette all’anno, che arriverebbero a 1.300 considerando anche l’intera filiera produttiva), ci sono da considerare soprattutto le esigenze operative, militari e civili.

IL LIVELLO OPERATIVO

A inizio maggio, a illustrare il primo livello (quello militare) era stato Enzo Vecciarelli, allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, oggi al vertice di tutte le Forze armate. Di fronte alle commissioni speciali, il generale aveva spiegato le potenzialità del mezzo aereo: “La lunga permanenza in volo e la possibilità di osservare da quote elevate quello che succede sul terreno”. Sono esigenze che derivano dall’evoluzione degli scenari operativi. “I tempi sono molto cambiati dal confronto bipolare, e anche l’utilizzo del mezzo aereo ha subìto evoluzioni; siamo passati dall’uso significativo della forza all’esigenza di informazione”, aveva spiegato Vecciarelli. I droni P.2HH contribuirebbero così all’obiettivo di “affermare una superiorità informativa per arrivare quanto prima a una superiorità decisionale”, vera chiave di volta dei contesti operativi.

UN SISTEMA DUAL USE

Eppure, il P.2HH è pensato anche per il dual use, uno dei due pilastri (insieme a resilienza) su cui il ministro Elisabetta Trenta ha costruito le linee programmatiche del proprio dicastero. “Il sistema – ha notato Vaghi – sarà utilizzabile anche con impieghi di tipo civile”, tra cui la rilevazioni di inquinanti, incendi e dissesti, il monitoraggio dei flussi migratori o il controllo dello stato di infrastrutture critiche. Rispetto al P.1HH, il drone potrà infatti contare “su strumentazioni allo stato dell’arte”, compresi avanzati sensori elettro-ottici e a infrarosso, e radar ad apertura sintetica.

LA GOVERNANCE DEL PROGRAMMA

Di fronte alle commissioni Difesa, Vaghi è poi tornato sulla governance del programma, su cui aveva già riferito alle commissioni speciali a fine maggio. Si prevede una collaborazione con Leonardo “molto più coesiva e stretta rispetto a quella sviluppata sul P.1HH”. Per il suo successore, le due aziende potrebbero sviluppare “un raggruppamento temporaneo d’impresa o una joint venture leggera ed efficace”. D’altra parte, anche il capo delle Strategie di Leonardo Giovanni Soccodato aveva parlato di una “collaborazione paritetica”. Lo share delle attività potrebbe dunque essere suddiviso all’incirca al 50% tra le due, con la società di piazza Monte Grappa che lavorerà sullo sviluppo dei sistemi e degli equipaggiamenti, e Piaggio che si occuperà dell’integrazione della piattaforma e dello sviluppo complessivo.

L’APPROVAZIONE DEL DICASTERO DIFESA

Sul programma, a fine settembre, era arrivata anche “la piena approvazione” del dicastero Difesa, spiegata durante un question time al Senato proprio dal ministro Elisabetta Trenta. Ulteriore conferma degli intendimenti di palazzo Baracchini è poi giunta con il Documento programmatico pluriennale 2018-2020, che dovrà comunque essere modificato sulla base dei fondi effettivamente stanziati dalla legge di Bilancio. Nel Dpp, il programma P.2HH appare tra quelli “con assicurazione di finanziamento”, con una spesa di 72 milioni di euro nel 2018. Eppure, da mesi, l’assenza del dossier nel calendario dei lavori parlamentari ha alimentato qualche preoccupazione. Non è infatti un segreto che i circa 1.200 dipendenti di Piaggio Aerospace guardino con attenzione al programma, che sarebbe per l’azienda l’atteso trampolino per il rilancio. Ieri, l’incontro dei sindacati al Mise non ha dissolto i timori, acuiti nelle passate settimane dalle voci secondo cui il fondo Mubadala starebbe pensando alla liquidazione.

IL BILANCIO DI PIAGGIO

Vaghi è parso comunque tranquillo, pur illustrando ai parlamentari come buona parte dei dipendenti dell’azienda sia impegnato nelle attività dedicate ai velivoli. Alla fine dello scorso anno, ha spiegato il manager alle commissioni, Piaggio Aerospace ha strutturato il nuovo piano industriale, focalizzando la sua missione sulla velivolistica e, in particolare, su quella “defence” a pilotaggio remoto. “L’investimento sul programma dei droni è un suo elemento importante – ha rimarcato l’ad – e per questo il bilancio 2017, pur gestionalmente chiuso, non è ancora stato pubblicato”. In altre parole, si attende di capire se i fondi per il P.2HH saranno effettivamente stanziati. Se così non fosse, “dovremmo rivedere il piano industriale”. Ad ogni modo, “stando alle previsioni correnti”, lo scorso anno le perdite sono state “minori rispetto a quelle inizialmente previste, con il miglioramento della posizione finanziaria netta grazie alla ristrutturazione del debito avvenuta, di concerto con l’azionista, alla fine del 2017”. D’altra parte, nel 2016 le perdite erano state di 90 milioni di euro, in calo rispetto ai 242 milioni del 2015.

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