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Così il politicamente corretto minaccia la cultura in Occidente

Negli anni della lunga Guerra fredda, fra le malefatte che venivano giustamente imputate agli Stati comunisti e in genere ai regimi variamente autoritari e totalitari c’era quella concernente l’esistenza di una “verità storica” ufficiale e non contestabile. La sua elaborazione presupponeva la connivenza, con quei regimi politici, di un gruppo di intellettuali organici, pronti a “riscrivere la storia” secondo i desiderata del potere.

Famose nella loro paradossalità erano le cancellazioni nelle fotografie ufficiali di regime, mediante tecniche arcaiche avvicinabili al moderno Photoshop, degli uomini di potere mano a mano caduti in disgrazia. L’Occidente si presentava non solo in generale come la terra della libertà di espressione e opinione, ma anche in particolare, con i suoi istituti e le sue università, come il luogo della libertà di ricerca più assoluta e senza pregiudizi. Ora, proprio dai campus universitari del “mondo libero” è iniziata da tempo una controffensiva che, in nome di una critica radicale alla cultura ufficiale, finisce per proporre una riscrittura della storia fatta secondo indiscutibili e sovrastorici canoni morali. Il movimento del “politicamente corretto”, fatto proprio prima da una consistente e influente parte dell’élite, e poi diffusosi fino a egemonizzare la cultura media occidentale (il cosiddetto mainstream), si presenta in prima istanza proprio come un illuminismo radicale: anzi, tanto radicale da implodere in un assoluto irrazionalismo. Come tutti gli illuminismi, esso non ha senso storico e quindi non ha nemmeno una cognizione della complessità del reale di per sé non riducibile ai canoni di un pensiero tutto sommato “breve” o “facile”. È proprio questa “mezza cultura” che ha determinato, in area liberal soprattutto, molte delle scelte politiche e culturali degli ultimi anni, fino a diventare senso comune e a spacciarsi per cultura tout court. Essa ha finito per monopolizzare il discorso pubblico, almeno quello più visibile che trova espressione nei giornali, nelle televisioni, nei festival culturali o nei libri alla moda che sono in bella evidenza nelle vetrine delle maggiori librerie. Questo attacco alla libera ricerca viene il più delle volte compiuto in nome dei “diritti umani”. La damnatio memoriae che si vorrebbe colpisse rilevanti personaggi storici viene giustificata in nome di questi “diritti”, che essi avrebbero calpestato. Ed ecco che i meriti dei grandi padri del liberalismo vengono messi da parte perché essi sarebbero stati, a volta a volta, razzisti, schiavisti, complici del colonialismo, stupratori, dispregiatori delle donne e via dicendo (è la tesi avanzata dallo scomparso storico marxista Domenico Losurdo, il cui libro sul liberalismo, informato a questa idea, è stato tradotto e ha avuto rilevante visibilità anche nei paesi anglosassoni). Oppure, ecco che alcuni grossi benefattori, come Cecil John Rhodes, vengono per gli stessi motivi accusati e se ne perora la cancellazione dai libri di testo e l’abbattimento delle statue che li ricordano. Il giudizio storico viene offuscato da un giudizio morale decontestualizzato e non si arriva a comprendere come, cancellando la storia con le sue contraddizioni, si finisca per segare le gambe proprio alla sedia su cui si sta seduti.

L’ideologia dei diritti umani, con tutto il bagaglio di azioni pratiche che si è portata dietro, a cominciare dalle diverse “dichiarazioni universali” (non ultima quella dell’Onu del 1948), ha generato sempre diffidenza da parte dei liberali e di chi ha un senso profondo e non politico della storia umana. Con il trionfo mondiale del dirittismo, si è però andati decisamente oltre, fino a minare, a partire dai luoghi di formazione, le basi stesse della cultura occidentale, la quale oggi è sicuramente in crisi e sulla difensiva, preda di un “pensiero unico” antistoricista che dà patenti di legittimità ed esclude o include dal suo cerchio con estrema facilità. È l’Occidente in questo modo che finisce per segare le gambe della sedia in cui è assiso. Un attacco pericoloso perché viene dal proprio interno, anzi dal cuore pulsante ove si forma la propria stessa autoconsapevolezza.


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