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Rivoluzione umana

Di Felicia Pelagalli
digitale

Abbiamo la convinzione che sia la tecnologia a cambiarci, mentre a cambiare è il modo in cui noi consideriamo la tecnologia. Spesso, nei convegni e nella formazione aziendale, si tende a connotare il fenomeno della trasformazione digitale come una sfida culturale: “Non si tratta solo di introdurre nuove tecnologie, ma di cambiare cultura”. Bene. Condivisibile. Ma cosa vuol dire? A cosa pensiamo quando parliamo di cambiamento culturale? Le cose dipendono da come le guardi. E ogni lente è un codice (culturale), un modo di leggere ciò che accade.

Partiamo da una premessa. Sono le categorie con cui percepiamo le cose e gli eventi della nostra vita a orientare la costruzione della realtà e il nostro comportamento. Determinano il “vero” e il “falso”, rappresentano ciò che sentiamo “amico” da ciò che avvertiamo come “nemico”. E questo accade anche con l’innovazione digitale. Molto dipende quindi da come percepiamo e rappresentiamo le tecnologie. Molto dipenderà dunque da come le governeremo e dalle regole di condotta che ci daremo.
Nelle nostre vite si sta insinuando sempre più il timore che l’intelligenza artificiale e i robot sostituiranno il lavoro umano e che i computer diventeranno così intelligenti da rendere le persone incapaci di competere con loro. In realtà, lavori come sviluppatore di app, social media manager e operatore di droni non esistevano fino a poco tempo fa; oggi, milioni di lavoratori svolgono queste professioni. Secondo LinkedIn, le opportunità per gli scienziati dei dati negli Stati Uniti sono aumentate del 650% tra il 2012 e il 2017. E comunque, sentimenti come l’empatia rimarranno difficili da automatizzare.

Una delle paure che accompagna l’introduzione delle tecnologie digitali nel mondo delle imprese è quello di favorire l’avvento di una “società del controllo”. Si profilano scenari inquietanti di stretta sorveglianza del comportamento dei lavoratori: dall’analisi dei contenuti postati sui social media, a braccialetti elettronici che guidano i movimenti, a smart workers costantemente monitorati e con privacy “casalinga” a rischio. Scenari in cui la tecnologia diventa strumento per dominare. Scenari che evocano la necessità di una migliore salvaguardia dei diritti dei lavoratori, con un chiaro ruolo di tutela da parte del sindacato. Ma questa è solo una delle strade possibili e immaginabili.

Come è stato sottolineato da Gavin Kelly in un recente articolo apparso su Financial Times, la conoscenza derivante dai dati può diventare, anche per i lavoratori, uno strumento di potere e di indirizzo delle strategie aziendali. Si possono condividere informazioni ed esperienze; mettere in evidenza le persone e le buone pratiche; mappare competenze e bisogni formativi; dare vita ad algoritmi e Ia per individuare elementi di rischio per la sicurezza e lo stress lavoro correlato; strutturare forza da conoscenza messa in comune; orientare il futuro; prendere posizione su questioni importanti.

In futuro, i dati potranno dare valore non necessariamente, e non solo, ai soliti interessi imprenditoriali privati, ma, quando raccolti in piattaforme dedicate, aperte e interoperabili, diventare bene comune. La portabilità dei dati introdotta dal nuovo regolamento europeo per la protezione dei dati personali (Gdpr) consentirà di raccogliere e portare i propri dati su piattaforme nuove, più civiche. Piattaforme in cui collezionare grandi volumi di dati, individuare algoritmi e soluzioni di Ia che servano alle persone per migliorare la qualità della loro vita lavorativa, acquisire competenze, adattarsi a occupazioni in rapido cambiamento e guidarli nel prefigurare trend.

L’azione delle persone può contribuire a definire le regole del gioco e disegnare le direttrici di governance dello sviluppo tecnologico. Uno sviluppo che concorra a promuovere il bene dell’umanità. Partire dal disegno condiviso di un progetto umano degno del Ventunesimo secolo. Senza dimenticare il nostro essere umani. Senza dimenticare le nostre fragilità. Ma anche la spinta alla scoperta, alla solidarietà; la capacità di saper convivere civilmente. L’intelligenza artificiale riuscirà pure a batterci nel gioco degli scacchi, ma noi ci divertiremo giocando, lei no.

Il 15 novembre, al Museo MAXXI di Roma, approfondiremo il tema legato alla fiducia nel futuro digitale e nell’intelligenza artificiale con Luciano Floridi, professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, e Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, in un confronto per disegnare un progetto umano per il XXI secolo. È possibile rimpiazzare la paura e l’interesse egoistico con la fiducia e la solidarietà?

 


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