Che il governo attuale sia espressione dell’ottimismo della volontà delle forze che ad esso hanno dato vita, lo abbiamo scritto più volte su queste pagine. La ragione, più pessimisticamente, portava a vedere sin dall’inizio tutte le contraddizioni di un progetto politico basato non su una sintesi di programma ma su un “contratto” spartitorio delle competenze in atto. D’altronde, il governo attuale è anche immagine fedele di un Paese profondamente diviso, per faglie geografiche, culturali, sociali. Di più non si poteva pretendere, ed alternative non c’erano all’indomani del 4 marzo e forse non ci sono oggi.
Ora, nonostante le rassicurazioni (in verità sempre più sporadiche) dei due vicepremier, il momento in cui i nodi giungono al pettine sembra essere arrivato. Non tanto, o non solo, per i motivi legati a una manovra in più punti senza visione prospettica, ma per quelli legati direi alla eterogeneità e improbabilità delle politiche e delle idee messe in campo dai Cinque Stelle. I battibecchi, le prese di posizione, i distinguo, sono sempre più calcati e quotidiani. E ieri il governo è anche andato di nuovo sotto alla Camera, nonostante la maggioranza sia sulla carta molto ampia. Sembra che più che fra Di Maio e Salvini, i conti stiano avvenendo all’interno dei Cinque Stelle per l’impossibilità di conciliare le politiche di governo, che sono per loro natura compromissorie e dettate dal principio di realtà, con una ideologia astratta che diventa sempre più pura e dura man mano che dall’ala governativa ci si sposta verso quella movimentista e originaria.
Al fondo, c’è però anche, fra Lega e Cinque Stelle, una differenza classica, seppur poco considerata. Per quanto entrambe siano espressione di una politica postmoderna, e quindi molto attenta ai simboli e alla comunicazione, e in questo preciso senso rappresentano il “nuovo” e il “cambiamento”, esse, a mio avviso, sono anche espressione della più classica fra le distinzioni politiche: quella fra destra e sinistra. Non è dubbio infatti che la Lega salviniana abbia un connotato classico di destra, seppur di una destra dura e intransigente, conservatrice piuttosto che liberale (anche se non fascista come una sinistra pigra immagina o vuole far credere). I pentastellati sono invece un poutpourri di individui legati fra loro per lo più da miti e leggende createsi in rete ma che possono essere per più motivi ascritti alla sinistra movimentista e postsessantottina, oltre che “giustizialista”, cresciuta a latere della sinistra istituzionale negli scorsi.
Come al solito, potrebbe perciò ripetersi uno schema tradizionale: a far cadere il governo sarebbe una scissione “a sinistra”, fra chi è più puro e chi invece ha una immagine riformistica e istituzionale delle trasformazioni sociali.