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Scuola liberata… dai pregiudizi

famiglia, Anna Monia Alfieri

“Scuola pubblica” cioè “scuola statale”, “scuola parificata” cioè “privata”… e potremmo continuare nelle ingiustificate o volute confusioni di termini. Non so fino a che punto ciò sia dovuto a ignoranza del problema e fino a che punto sia una confusione generata volutamente da un persistente e mortifero statalismo. Nessuno però ha detto e afferma che -con la legge 10 marzo 2000, n. 62- il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie  e degli enti locali.

Questa disinformazione sistematica del problema meriterà ulteriore riflessione . Ritengo che il primo problema (culturale, ideologico, politico, istituzionale) da affrontare sia questo: sfatare la “convinzione popolare” secondo la quale la “scuola pubblica” è la sola scuola statale e che è essa è la sola forma di servizio pubblico. Se resta questa infondata convinzione, le scuole non statali -tutte le scuole non statali- sarebbero un attentato alla libertà di insegnamento e alla sovranità della laicità dello stato. Chi si azzardasse a discutere questi pregiudizi, verrebbe subito bollato quale reazionario, antidemocratico, e -perché no?- clericale!

Ecco, allora, il primo tema sul quale prendere posizione operativamente: la libertà e la possibilità effettive di creare e garantire una pluralità di istituzioni scolastiche per rendere concreta -di fatto- la libertà di apprendimento prima ancora che la libertà di insegnamento. Una pluralità di istituzioni scolastiche può essere temuta solo da chi nella scuola di Stato opera come “padrone”, non dovendo rispondere del proprio operato a nessuno; o se è chiamato a rispondere di qualcosa, lo è solamente in modo formale. La scuola diventa così una “propria istituzione” nella quale si opera e non risponde del proprio operato.

Se si avesse, poi, la pazienza di analizzare i testi normativi e autorevoli che riguardano la legislazione scolastica, ci si accorgerebbe che l’educazione non è mai considerata  compito della Repubblica o dello Stato, tanto meno dello Stato-apparato. E su questo ritornerò. Partiamo dalla Costituzione:  La Repubblica -vi si legge- “favorisce”, “agevola”, “protegge”, “assicura” e “istituisce” diversi servizi per i cittadini: tra questi c’è anche la scuola statale. Ma non dovrebbe esserci solo la scuola statale. Come può concretizzarsi il dovere-diritto dei genitori se, sul versante pratico, i genitori sono costretti a fare solo certe scelte; altre scelte -infatti- graverebbero economicamente in maniera non sostenibile: sarebbe questa la parità di diritti-doveri? Occorre dare all’utente la possibilità di scegliere i professionisti della scuola che ritiene più validi.

Chi teme la pluralità di istituzioni scolastiche? Chi ha paura del cittadino protagonista di libere scelte nella propria autodeterminazione culturale? E come mai lo studente italiano costa alla collettività, ogni anno (10mila euro), di più di ogni altro studente degli altri Paesi europei e non? Si abbia l’onestà culturale e politica di affrontare concretamente i problemi in un sano e reale pluralismo di proposte fattibili! E dopo mezzo secolo di sola scuola statale, è proprio non ragionevole attivare un sistema scolastico, previsto oltretutto da una legge dello Stato, nel quale le scuole, a parità di partenza e di costi, possano garantire un pluralismo culturale unica forma di difesa da una “totalitarismo-statalista-monopolizzante? Dopo avere tentato mille soluzioni dentro il “sistema chiuso” della scuola statale, è proprio così poco “laico” cercare altre soluzioni che non siano il solo monopolio di Stato sulla, nella e della scuola? Per migliorare una scuola che appare sempre più in situazione critica? La Costituzione non lo vieta! Una lettura ideologica della Costituzione purtroppo lo ha imposto, nel disinteresse di tanti e per la pervicacia ideologica di chi detiene il potere culturale. Anche  l’Europa ha chiesto ripetutamente agli Stati membri una effettiva parità tra istituti scolastici. Ricordiamo la Risoluzione del Parlamento europeo del 1984 “sulla libertà di insegnamento” con la quale si chiede un effettiva pluralità di istituzioni scolastiche senza che ciò implichi alcuna discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale. Come ignorare la successiva risoluzione del Parlamento europeo del 4 ottobre 2012 che ritorna e riafferma quanto sopra riportato. E si potrebbe citare ancora, sempre in questa pressante prospettiva di tutela e attuazione di un diritto inviolabile, l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), l’articolo 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000). Non è fuori luogo ricordare che siamo i solo, assieme alla Grecia, a negare di fatto, contro tutta la legislazione sopra indicata, il diritto alla non discriminazione nella scelta effettiva della scuola da frequentare. Siamo fuori dall’Europa e calpestiamo una diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Fa sensazione l’assordante silenzio dei politici, dei sindacati, degli “uomini di cultura”, dei difensori dell’Europa. Perché? A chi giova questo silenzio? E se ci si muovesse tutti con qualche presa di posizione concreta?

 

 

 

 

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