“Le persone vogliono questo, stiamo facendo questo”. Sorprenderà, ma non lo ha detto il nostro ministro dell’Interno. Il copyright non è di Matteo Salvini, ma del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Junker. La volontà del popolo è stata invocata per anticipare la stabilizzazione dell’ora legale in Europa. In verità, tra volere e potere c’è di mezzo un iter ancora lungo: la Commissione presenterà una proposta legislativa, che dovrà essere approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo; saranno, poi, i singoli Stati a decidere e si vedrà se rispetteranno la volontà espressa dai rispettivi cittadini.
A quanto pare, dal sondaggio promosso dalla Ue è risultato – secondo la Commissione – che gran parte degli europei “non vuole più cambiare l’ora due volte l’anno” (ilsole24ore.com del 31 agosto 2018) e sempre la Commissione ha rivendicato di essersene fatta subito carico. Questa è la stagione politica in cui viviamo. Una consultazione popolare… sull’ora legale! È l’effetto del populismo imperante, si dirà. A me, però, sembra più la conseguenza del disperato tentativo di accreditarsi da parte di una classe dirigente, ormai, delegittimata a causa del suo storico disinteresse – a mio avviso, sbaglia chi ritiene che si tratti di mera incapacità – a consolidare l’architettura europea su uno spirito di appartenenza comune. Non siamo, ancora, al panem et circenses, ma poco ci manca.
Quello che è più grave è che non si avverte che a gridare “Il re è nudo!” non sono più solo le forze antagoniste e radicali, ma quelle al governo di Stati che hanno fatto la storia del nostro continente. Ma che senso ha questa consultazione dei cittadini europei sull’ora legale? È evidente che il sondaggio promosso dalla Commissione non può, per definizione, essere considerato espressione della volontà popolare. I toni trionfalistici con cui è stato reso noto che si sono espressi 4,6 milioni di cittadini europei, lasciano interdetti. Sarà anche la consultazione pubblica più partecipata, ma la popolazione dell’Unione europea ammonta a oltre 500 milioni di persone! In Italia si è pronunziato lo 0,04% della popolazione e sarei curioso di sapere in quanti hanno saputo della consultazione.
Epperò, al di là dei numeri e delle forme, quello che stupisce è che non ci si rende conto che in una istituzione, come quella dell’Unione europea, nella quale il Parlamento, eletto dai cittadini degli Stati membri, ha limitatissimi poteri legislativi, la consultazione diretta ha un alto valore simbolico. Promuoverla per l’ora legale e non già per l’ingresso di nuovi Stati o per l’euro significa svilire il principio stesso della sovranità popolare. Tanto più quando viene resa nota la motivazione: “non vogliono più cambiare l’ora due volte l’anno”. Non vogliono, come i bamboccioni del ministro europeista Tommaso Padoa-Schioppa che non volevano andare fuori casa.
La colpa non è di coloro che hanno partecipato alla consultazione, forse soddisfatti di poter, finalmente, dire la loro su qualche decisione dell’Unione europea. La responsabilità è di coloro che l’hanno voluta, promossa e ne hanno tanto trionfalmente propagandato i risultati. Non siamo in Svizzera dove c’è una storica e consolidata tradizione di referendum popolari su piccole e grandi questioni.
In una Unione europea alla ricerca della propria identità, una consultazione come quella sull’ora legale, ben lungi dal celebrare il trionfo della democrazia, rischia di denunciarne la sostanziale estraneità alle logiche di governo, che riservano le decisioni di sistema a una élite che non trae la sua legittimazione dal voto popolare (avevo scritto dalla “volontà popolare” ma, per pudore, ho proferito “voto popolare”). È solo la vichiana eterogenesi dei fini o si tratta di un preciso progetto politico? (Formiche n. 140/2018)