La comunicazione è un elemento strategico che può favorire opportune trasformazioni sia nei modelli organizzativi sia nelle modalità di lavoro e di prestazione nelle strutture sanitarie. Una comunicazione efficace permette a ognuno di sapere come comportarsi mentre, se inadeguata, causa conflitti e sprechi di tempo e risorse. Acquisire e rinforzare le competenze comunicative si traduce immediatamente in un beneficio per gli stessi medici e operatori sanitari, per i familiari e soprattutto per i pazienti.
Comunicare all’interno di un’azienda sanitaria non è più un mero atto facoltativo ma è un compito da realizzare con impegno e consapevolezza e che diviene fondamentale se associato a una nitida definizione delle finalità e delle strategie che la struttura persegue.
La comunicazione è un’espressione sociale perché produce un valore al servizio di qualcuno. Eppure non basta scrivere o parlare per comunicare: la comunicazione avviene quando è compresa da tutti, diventando patrimonio comune e contribuendo alla costruzione di una relazione, di un sapere, di una cultura.
Molte delle persone che lavorano in ambito sanitario hanno ancora la convinzione che destinare del tempo per costruire un corretto processo di comunicazione non sia la priorità all’interno di un’attività in cui il carico di lavoro è sempre più oneroso e la gestione del tempo è uno dei problemi più frequenti e scoraggianti: il risultato comunicativo tanto anelato dovrebbe quindi arrivare in maniera intuitiva e possibilmente senza controllo e sforzo alcuno.
Questo errato presupposto produce gli effetti già menzionati nel libro: aumento esponenziale delle cause verso le strutture sanitarie, rinforzo di convinzioni negative da parte degli utenti su tutto il comparto sanitario e situazioni critiche che per essere recuperate necessitano di tempo, impegno e risorse.
Eppure la comunicazione è già saldamente connessa da tempo ai principi della professione medica: il codice di deontologia medica cita al suo articolo 20 – Relazione di Cura: «Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura». Ciò significa che il tempo dedicato alla comunicazione è già cura. E all’articolo 33 – Informazione e comunicazione con la persona assistita ribadisce che «…Il medico adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale…». Qualcuno potrebbe obiettare che sono norme che hanno un valore solo all’interno dell’Ordine professionale che le approva.
La Legge n. 219 del 2017 sul consenso informato e Dat (entrata in vigore il 31 gennaio 2018 ma ancora sconosciuta alla maggior parte del personale sanitario) riprende e rinforza i concetti già citati nell’ambito della Relazione di Cura il cui disegno è consistente e le conseguenze che si traggono sono molto rilevanti: «Il tempo della comunicazione è tempo di cura» (1, comma 8°). Ciò che prima era circoscritto da un codice professionale ora è legge.
Inoltre «La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative (1, comma 10°)». Emerge immediatamente il problema dell’attuazione di questa legge, proprio perché essa raccoglie e afferma un carico di principi già presenti nella deontologia e in alcune esperienze più avanzate della pratica clinica ma contro fattuali rispetto allo stato e alla cultura diffusa in sanità e in parte della classe medica.
Un’ulteriore conferma di come la comunicazione sia ormai integrata nella pratica clinica e tutto ciò che ne deriva, ci arriva dalle prestigiose Linee Guida Asco (American Society of Clinical Oncology) per il 2018 che rappresentano la modalità di trasferimento nella pratica clinica delle conoscenze prodotte dalla ricerca. Sono queste una sintesi delle migliori prove di efficacia disponibili e il loro scopo è produrre raccomandazioni per la pratica clinica attraverso un processo sistematico e trasparente. Ebbene, la ricerca afferma che una migliore comunicazione sanitaria è stata associata a oggettivi e soggettivi miglioramenti dello stato di salute.
Se l’assioma della comunicazione che dichiara «non è possibile non comunicare» è vero, allora è necessario che le persone che lavorano nella sanità assumano più responsabilità e maggiore consapevolezza nel promuovere e gestire questo processo con coerenza ed efficacia per orientare i loro comportamenti verso una cultura di reale servizio del paziente e dei suoi familiari.