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Non solo Coca-Cola. Ecco chi colpirebbe l’inutile tassa sullo zucchero

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Ciascuno ha i propri vizi, ma ce n’è uno che sembra colpire, di volta in volta, chiunque occupi posizioni di governo: ed è quello di intervenire per proibire, limitare, o tassare i vizi degli altri. Al governo in carica sono bastati pochi mesi, ed ecco tornare in auge una vecchia, poco originale ma sempreverde idea dei suoi predecessori: tassare le bibite zuccherate.

Ma andiamo con ordine. Ieri, la Commissione Finanze della Camera ha approvato un emendamento della maggioranza, che sostanzialmente elimina l’Irap per le partite iva e le imprese individuali con un volume d’affari sotto i 100mila euro. Finalmente una buona notizia? Non proprio. Per coprire il mancato gettito futuro dell’Irap, l’emendamento prevede il taglio di alcune tax expenditures, senza specificare quali e rimandando la decisione a un futuro provvedimento del Mef. Un classico del policy-making italiano, purtroppo. E come accade quasi sempre in questi casi, il diavolo è proprio in questi dettagli. L’emendamento, infatti, stabilisce che, se il taglio alle agevolazioni fiscali previsto dal Mef non dovesse risultare sufficiente, verrà istituita un’imposta “sul consumo di bevande ad alto contenuto di zuccheri aggiunti”.

A pensar male, si potrebbe pensare che Lega e M5S abbiano più di qualche difficoltà a reperire le coperture necessarie per finanziare le costose promesse contenute nei rispettivi programmi elettorali e nel contratto di governo. Le bibite zuccherate, in questo scenario, costituirebbero senz’altro una facile preda per racimolare risorse: poche, maledette e subito, senza conseguenze sul piano del consenso. Del resto, chi mai potrebbe avere qualcosa da ridire su un provvedimento così manifestamente dalla parte della nostra salute?

Ma ipotizziamo per un attimo che non sia così, e che l’intento degli estensori dell’emendamento sia, in perfetta buona fede, quello di migliorare lo stile di vita degli italiani, aiutandoli a prevenire comportamenti scorretti e, in definitiva, a consumare meno bevande zuccherate. Tassare lo zucchero è un metodo efficace per raggiungere questi obiettivi? La risposta è no. Ma non si tratta soltanto di un provvedimento inutile; si tratta anche di un provvedimento dannoso.

Si tratta di un provvedimento inutile, perché l’evidenza scientifica non è stata in grado, sinora, di isolare l’effetto sulla salute del consumo di bibite zuccherate isolandolo da quello, più generale, di un corretto stile di vita e di una dieta equilibrata. In altre parole, è difficile attribuire alle bibite zuccherate la responsabilità dell’obesità, se oltre alle bevande zuccherate le persone obese tendono a consumare in quantità eccessiva diversi altri alimenti grassi. È dunque impensabile che uno strumento di policy così circoscritto possa affrontare con efficacia un problema invece molto più complesso, come quello dell’obesità.

Al contrario, il provvedimento rischia di provocare danni all’economia, e anche agli stessi consumatori che si prefigge di tutelare. Dal primo punto di vista, occorre tenere conto del fatto che l’imposta si applicherebbe a qualunque bibita zuccherata, compresi succhi di frutta, nettari, chinotti, bevande per sportivi. Non è, cioè, una “tassa sulla Coca-Cola”, come viene definita da più parti, bensì un aggravio fiscale che andrebbe a impattare negativamente su un numero enormemente più elevato di aziende e di settori industriali, accomunati dalla partecipazione a vario titolo nella filiera dello zucchero. L’emendamento stabilisce un’imposta pari a mezzo centesimo di euro per grammo sulle bevande con il 5-10% di zuccheri aggiunti, e a un centesimo di euro per grammo sulle bevande con una percentuale di zuccheri aggiunti superiore al 10%. Poiché l’imposta sarebbe applicata al prezzo di produzione, ed escludendo la componente del prezzo destinata agli intermediari fra produzione e consumo, si tratterebbe di un’imposta di circa il 45% dei prezzi al consumo per i prodotti “di marca”, e di una percentuale quasi doppia per le cosiddette “private label”. Un salasso insostenibile per qualunque azienda, con un aumento sui prezzi, quasi inevitabile.

L’aumento dei prezzi che con ogni probabilità scaturirebbe dall’imposta comporterebbe due ulteriori conseguenze nefaste, che contraddirebbero proprio le intenzioni alla base della misura. Se l’aumento del prezzo riducesse le vendite dei beni colpiti, si ridurrebbe di conseguenza anche l’iva versata dagli esercenti, diminuendo – anziché aumentando – le entrate per l’erario. Inoltre, l’aumento dei prezzi potrebbe spingere parte dei consumatori, e specialmente quelli con reddito medio-basso, a smettere di acquistare prodotti di qualità, preferendo imitazioni più scadenti, ma più economiche e spesso più dannose per la salute, a prescindere dalla quantità di zucchero. Altro che provvedimento per la nostra salute!

Chi ci governa ha il brutto vizio di voler interferire con la vita privata dei cittadini, tassando e regolamentando i suoi gusti e le sue scelte di consumo. È un brutto vizio, reso ancora più odioso dal fatto che lo Stato, a differenza nostra, a mettersi a dieta non ci pensa mai, e che invece avrebbe bisogno di dimagrire ben più della stragrande maggioranza degli italiani. Questo sì, che è un vizio di cui bisognerebbe occuparsi.

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