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Tre regole auree per sopravvivere in Europa

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Verosimilmente la partita che si giocherà prossimamente sui tavoli europei sarà la più pericolosa dopo quella giocata nel novembre 2011 quando la sfiducia nella capacità del nostro governo di gestire la situazione lasciò mano libera al “Sentiment” dei mercati. Allora questo fattore “S”, alimentato dalle paure, dalle ansie e dalle aspettative dei mercati prese rapidamente il sopravvento anche sui dati economici oggettivi tentando di trascinarci in una spirale senza uscita. Purtroppo, l’esperienza ci ha insegnato che questo fattore si muove come un virus: può rimanere latente anche per lunghi periodi, ma, quando si manifesta, lo fa con una tale rapidità da rendere complicatissimo la individuazione di antidoti efficaci. Dunque, poiché dovremo verosimilmente fronteggiare a breve gli attacchi di questo virus, forse sarebbe opportuno tenere ben presenti tre regole auree scolpite da 10 anni di crisi.

Prima regola aurea: “in Europa, se conti poco, gli altri decidono anche per te”. Non bisogna mai scordare, a questo proposito, che più o meno il 70% delle decisioni di natura economica (forse il 100 % in agricoltura) vengono prese in Europa da una ideale “cabina di regia”. Il problema è che più sei lontano da questa cabina di regia e più sei in una posizione passiva che ti costringe, di fatto, a subire decisioni prese da altri. Per evitare ciò è indispensabile, da una parte, gestire il rapporto con l’Europa e, dall’altra, avere una autorevolezza ed una affidabilità che ti consenta di sedere ai tavoli più delicati (immigrazione, crescita, occupazione, revisione dei trattati etc) in una posizione non marginale. Dunque se vogliamo rappresentare in ambito europeo, anche con decisione, le nostre esigenze e le nostre peculiarità dobbiamo evitare di assumere posizioni estreme che ci facciano perdere di credibilità e che di fatto ci isolino. Ad esempio, verosimilmente, una maggiore affidabilità sul fronte dei conti pubblici ci avrebbe permesso di aver maggior voce in capitolo sul delicato fronte dell’immigrazione incontrollata.

Anche perché la seconda regola aurea recita: “in Europa chi è isolato sul fronte economico diventa vulnerabile”. Qui il punto è che finché i Paesi si trovano “sulla stessa barca”, le politiche varate dalla citata cabina di regia saranno mirate sulle comuni necessità economiche dei partner europei. Ad esempio, nei momenti più delicati della crisi, sono state varate misure espansive senza precedenti quali i finanziamenti della Bce a medio termine (Tltro) ed il Quantitative Easing con il quale Draghi ha iniettato liquidità nei mercati nel tentativo di far ripartire l’economia. Il problema nasce quando le economie dei Paesi divergono sensibilmente, ad esempio sul fronte della crescita, ed alcuni Stati rimangono indietro ed isolati. Qui, il grosso rischio è che la cabina di regia (ovviamente influenzata da tedeschi e dai loro accoliti) inizi a spingere comunque verso misure restrittive volte ad impedire fiammate inflazionistiche. Peccato che, al contrario, i Paesi a scarsa crescita avrebbero invece ancora necessità di misure espansive per superare la crisi. Da evidenziare, purtroppo, che l’Italia non è isolata solo sul fronte della crescita, (cresciamo più o meno la metà degli altri partner europei), ma anche su quello delle dimensioni del debito pubblico, sulla quantità di crediti deteriorati detenuti dalle nostre banche, sulla quantità di titoli di stato detenuti dal nostro sistema creditizio etc. Di conseguenza siamo particolarmente vulnerabili alle decisioni prese in sede europea cosa che, ancora una volta, dovrebbe portarci a gestire il rapporto con l’Europa.

Infine non trascurerei, nell’attuale contesto, la terza regola aurea che ci ricorda che “una cosa è non essere entrati nell’Euro ab initio e tutt’altra cosa è uscire unilateralmente dall’Euro”. Qui l’idea che l’Italia possa uscire senza traumi dall’Euro mi appare più vicina alla teoria che alla realtà. Il vero problema è che se anche esistesse un piano B percorribile sulla carta, in realtà non avremmo mai il tempo per realizzarlo per un semplice problema di velocità relative. Infatti, l’impatto dell’onda anomala derivante dall’uscita dall’Euro renderebbe immediatamente il nostro debito pubblico indisponibile per i sottoscrittori e non rifinanziabile. Al tempo stesso la conseguente dichiarazione di un default Italia tramortirebbe anche il nostro sistema bancario ( tra l’altro con quasi 350 mld di titoli di stato in pancia) che si troverebbe nella concreta impossibilità di operare. L’onda anomala si propagherebbe poi immediatamente al nostro tessuto imprenditoriale dalle spalle strette e quasi totalmente dipendente dalle banche.

Al contrario, eventuali effetti benefici del ritorno alla Lira, quali ad esempio la svalutazione competitiva, riuscirebbero ad esplicare i loro effetti solo tardivamente e per un periodo assai limitato. E non dovrebbe neanche tranquillizzarci troppo l’idea che siamo “too big to fail” perché il confine con il “too big to be saved “ è molto labile.

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