“Una forza come quella di Salvini ha bisogno di disordine per prosperare, meno problemi risolve, a partire da sicurezza e immigrazione, meglio è per loro”. È questa l’opinione di Dario Parrini, capogruppo del Pd nella Commissione Affari Costituzionali del Senato, per il quale è il disordine l’humus nel quale la Lega di Salvini riesce a vivere e prosperare.
La dura presa di posizione è stata espressa nel corso della presentazione del libro “La Lega di Salvini. Estrema destra di Governo”, di Gianluca Passarelli e Dario Tuorto edito da Il Mulino. Al dibattito hanno partecipato, oltre a Dario Perrini e all’autore Gianluca Passarelli anche Simona Malpezzi (Pd), Umberto Minopli (presidente dell’Associazione italiana nucleare), Lorenzo Castellani (ricercatore Luiss) e Antonio Preiti di Sociometrica.
Il saggio analizza l’evoluzione della Lega Nord, passata dall’abisso elettorale del 4% a detenere la golden share del centrodestra e a dettare la linea del governo di coabitazione con il Movimento 5 Stelle. Artefice di tutto questo Matteo Salvini, arrivato al vertice della Lega in un momento in cui era necessario un volto giovane e pulito per far dimenticare gli scandali legati alla gestione opaca dei fondi del partito, e che poi ha saputo trasformarla nella prima forza del centro destra italiano.
A margine della presentazione abbiamo parlato con il coautore del libro, Gianluca Passarelli, degli scenari nazionali ed europei che stanno per aprirsi e che coinvolgono sia il partito di Matteo Salvini sia il governo nazionale.
Lei crede alla trasformazione genetica della Lega da Lega Nord a Lega “nazionale”?
No. Io credo sia solo un maquillage, una cosmesi elettorale. Il partito ha ancora ben radicati i suoi interessi al nord, i suoi elettori sono ancora molto ostili al sud. Il cambiamento è stato costruito solo per ottenere dei consensi su un tema che se prima vedeva nel nemico i meridionali oggi vede nel nemico gli stranieri immigrati. Gli interessi del sud non li difende la Lega Nord.
Quando finirà il periodo delle vacche grasse la Lega tornerà nelle valli padane.
Esatto.
Il 13 dicembre a Milano ci sarà una manifestazione di protesta dei piccoli imprenditori di Confartigianato. A sei mesi dalla formazione del Governo si contesta più la Lega o il M5S?
Io credo che rischi di più il M5S. Perché l’elettorato della Lega è molto più solido, molto più compatto e ha un’aspettativa consolidata anche perché la Lega governa molte Regioni e molti Comuni. Il M5S, invece, si è posizionato su politiche di immediato ritorno: in sei mesi il Reddito di cittadinanza che non è ancora arrivato e che non arriverà fino alla prossima estate. Viceversa, posto che ci sono alcune categorie, come i piccoli imprenditori, quello può essere una parte dell’elettorato leghista. Il punto è che non basta essere scontenti per perdere consenso. Qual è l’alternativa a questo governo? Nessuna.
A maggio ci saranno le elezioni del Parlamento europeo, forse le più importanti della storia dell’Istituzione perché si preannuncia un ottimo risultato delle forze non europeiste. Secondo lei c’è davvero la voglia di distruggere l’Unione europea da parte dei partiti sovranisti, tra i quali la Lega, oppure è più utile continuare ad avere un nemico da combattere?
Se muore il nemico muore anche chi il nemico lo combatte, perciò questo gioco delle parti che lei cita è fondamentale, ma c’è stato un salto di qualità. In questo momento la Lega Nord si è affiancata a Le Pen, a Orban, gli austriaci, a Bolsonaro e a Putin. Questi sono tutti nemici dell’Europa in quanto continente che rappresenta il contraltare all’egemonia russa e americana, sia in termini politici che commerciali. In Europa ci sono circa 500milioni di consumatori e sono un ostacolo. Questi movimenti, partendo da un ritorno al nazionalismo, sono davvero in grado di minare le basi del sistema liberale dell’Unione europea.
Quindi non si contesta solo la governance dell’Unione europea?
No, in questo momento stanno contestando i valori liberali dell’Ue. Questo è il rischio vero.
Dunque c’è davvero la voglia di tornare a un’Europa che esiste solo come entità geografica.
Sì. Certo non sarà un’Europa con i cavalli di frisia, i confini e il fil di ferro. Sarà, però, un’Europa delle nazioni. All’inizio degli anni ’90 la Lega era a favore dell’Europa delle Regioni. Ora hanno cambiato posizione, non sostiene più l’indipendenza catalana o quella basca, non si spende più, prima c’erano addirittura i campionati di calcio con rappresentative regionali. In questo momento, invece, è per il superamento degli Stati nazionali pre 1918. Chiaramente non immaginano Stati che si facciano la guerra, magari pensano a trattati di cooperazione ma molto più blandi, stile Brexit.
Niente a che fare con il disegno di federalismo europeo di Ventotene.
Assolutamente. Un è un vero e proprio ritorno al nazionalismo.
C’è però chi prova a federare questi movimenti sovranisti, in un’unica internazionale sovranista: “The Movement”.
Se noi guardiamo biecamente ai numeri elettorali, posto che questi partiti andranno bene in Francia, in Italia e un po’ in Germania, possiamo dire che non avranno la maggioranza nel Parlamento europeo e dunque questo può consolare gli europeisti. Qual è il punto? Il punto è che il progetto è iniziare a minare l’Europa con le idee e mettendo in difficoltà l’attore politico che in questo momento è più debole: il Ppe. Il Partito popolare deve decidere se stare nell’ambito del conservatorismo europeo, quindi dei padri fondatori, chiamiamola linea Merkel. L’alternativa è aderire alla linea Orban che è all’interno del Ppe.
Quindi il Partito popolare europeo si trova sfidato dall’esterno e dall’interno.
Esatto, e questo può essere un elemento di indebolimento forte. Per contenere l’estrema destra il Ppe potrebbe essere tentato di fare proprie alcune istanze dei sovranisti e spostare a destra l’asse dell’intero Parlamento europeo. Io credo che questo grande movimento sovranista abbia l’ambizione di vincere ma conoscono i propri limiti. Il vero obiettivo è essere egemonici sul Partito popolare europeo.
Questa operazione che lei descrive ha provato a farla anche Forza Italia, nella sua ultima stagione politica Silvio Berlusconi ha appoggiato tesi antieuropeiste, ottenendo risultati non esaltanti e lasciando che la sua base elettorale venisse saccheggiata dalla Lega. Potrebbe succedere la stessa cosa anche al Ppe?
Il Ppe non ha una leadership chiara, questo è un grande pericolo. I britannici, che di solito sono i conservatori più moderati e più illuminati, si sono tirati fuori. Angela Merkel ha sostanzialmente rassegnato le dimissioni. In Francia non c’è una guida capace di contrastare i nazionalisti. Io vedo davvero il rischio di una deriva del Ppe su posizioni più intransigenti sui diritti civili, sull’immigrazione, sulle politiche di austerity. C’è il rischio concreto che il Ppe sia monopolizzato da un pensiero di destra.