“I progressisti spesso amano dipingersi come gli uomini del domani, il Vero Conservatore è certamente l’uomo del dopodomani”. Le parole di Giuseppe Prezzolini sono il quadro logico all’interno del quale si inserisce il volume “Ronald Reagan. Un conservatore alla Casa Bianca” (ed. Giubilei Regnani), scritto da Edwin Meese che fu procuratore generale nel corso degli anni della presidenza Reagan. Al centro del dibattito che ha accompagnato la presentazione del volume che si è tenuta ieri al Centro Studi Americani, il parallelo tra un presidente conservatore di ieri, Ronald Reagan, e un presidente conservatore di oggi, Donald Trump.
Uno dei numerosi punti di contatto tra i presidenti Reagan e Trump è l’isteria mediatica europea che ha accompagnato la loro elezione”, spiega dal palco Gennaro Sangiuliano, fresco direttore del TG2 presente al dibattito insieme al senatore Gianni Pittella, all’onorevole Guglielmo Picchi, al professor Corrado Ocone, a Ernesto Di Giovanni (Utopia), all’editore Francesco Giubilei e ad Antonio Signorini (Il Giornale).
“L’unico giornale italiano che accolse l’elezione di Reagan con un minimo di apertura fu il Il Giornale di Montanelli che si tenne ben lontano dalla presunzione didattica e dall’arroganza mostrata dai media mainstream”, continua Sangiuliano. “Dal punto di vista politico, invece, a sdoganare Reagan fu Giovanni Spadolini, allora primo ministro”. Ronald Reagan arrivò alla presidenza della superpotenza americana in un periodo difficile per gli Usa: da poco c’era stato il ritiro – da sconfitti – dal Vietnam e le immagini dell’assalto all’ambasciata americana di Teheran erano ancora negli occhi di tutti gli americani. La sua elezione fu una sorta di risveglio conservatore e dell’animo dell’America profonda.
Non era certo in queste condizioni l’America che ha eletto, contro ogni previsione dei media, l’attuale presidente Donald Trump, la cui azione è riuscita ad ottenere risultati notevoli dal punto di vista della lotta alla disoccupazione, portandola al 3.9%, della quale hanno beneficiato anche afroamericani e i sudamericani residenti negli Usa. “Trump è riuscito ad ottenere risultati impensabili anche in politica estera”, dice Picchi dal palco. “È riuscito ad ottenere la restituzione dei resti dei soldati americani caduti nel corso della guerra di Corea. Per noi vorrà dire poco ma per un Paese come gli Stati Uniti è un segnale importante”. Anche i rapporti di politica estera con il nostro Paese sembrano godere di ottima salute. “L’Italia ha bisogno di un partner forte in politica estera. Matteo Salvini fu uno dei pochi leader occidentali a scommettere sull’elezione di Trump e gli fece visita quando era ancora in piena corsa”, conclude Picchi: “Vi è un forte allineamento di interessi tra gli Stati Uniti e l’Italia e l’intenzione è di creare rapporti, legami sempre più stretti sull’asse transatlantico”.
Non è favorevole, invece, il parere del senatore Gianni Pittella che, se riconosce a Reagan un operato in linea con la tradizione americana in politica estera, guarda con preoccupazione all’azione di Trump sullo scacchiere geopolitico. “L’isolazionismo di Trump è molto dannoso per l’Italia e per l’Europa perché le sfide che sono in campo oggi, e sono sfide terribili, richiedono una collaborazione tra Unione europea e Stati Uniti d’America”, spiega Pittella a Formiche.net. “Nel momento in cui gli Usa si ritraggono dalla sfida contro il surriscaldamento climatico, si ritirano dall’accordo che si era faticosamente realizzato con l’Iran e dal quadrante Mediorientale e non affrontano insieme a noi la grande sfida della regolamentazione finanziaria ne risente tutta la comunità internazionale”. La necessità, riscontrata da Pittella, è quella di un nuovo patto transatlantico: “Noi avremmo bisogno di una nuova agenda transatlantica che consenta a noi, agli Stati Uniti e anche ad altri partner mondiali di dare risposte a queste sfide nell’interesse dei nostri cittadini”.
La rinnovata collaborazione dell’Italia con gli Usa, anche dal punto di vista dell’industria della difesa, è uno dei punti più interessanti dell’agenda politica nostrana. “L’Italia fa bene a rafforzare la sua cooperazione con gli Stati Uniti”, aggiunge Pittella ai nostri microfoni. “Certo se il piano di difesa comune va avanti noi non dobbiamo sottrarci dal progetto di esercito comune europeo che sarebbe un grande obiettivo strategico anche in termini di maggiore integrazione politica dell’Unione europea”.
La collaborazione in ambito militare, però non basta perché le sfide da affrontare restano di carattere transnazionale. “Posso indicare le tre sfide più importanti per le quali è necessaria la collaborazione di tutti: lotta al cambiamento climatico, sviluppo sostenibile e creazione di nuovi profili professionali legati all’innovazione tecnologica”, conclude Pittella. “Noi dobbiamo considerare che la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico sono forsennati, creano una nuova geometria lavorativa e noi non stiamo formando i profili giusti o non stiamo riqualificando le persone che hanno una scarsa formazione o una formazione per lavori che saranno surclassati dalle nuove tecnologie e ci presteremo a vivere in un cimitero di disoccupati. Oltre a questo c’è la questione finanziaria: abbiamo bisogno di un accordo mondiale sulle transazioni finanziarie e sulla regolamentazione dei grandi movimenti finanziari che freni il turbocapitalismo finanziario causa della crisi del 2008 che, pur partendo dagli Stati Uniti, ha avuto i suoi riverberi negativi anche sulle economie europee”.