Skip to main content

Ecco come il Vaticano combatte il cyberbullismo

The economy of Francesco

Assieme alla rivoluzione della rete, dell’universo digitale e della società virtuale, e a tutto quello che ha portato in termini di miglioramento delle interazioni tra persone, e quindi di qualità delle vita, sono altrettante le insidie che vi si nascondono nelle pieghe. Una tra queste è il cosiddetto cyberbullismo, vale a dire tutto quell’insieme di aggressioni, di molestie e di prevaricazioni che prendono vita con l’uso di strumenti nati per comunicare, come i social network. Papa Francesco, da buon pastore qual’è, più volte ha fatto suonare pubblicamente il campanello d’allarme su questo fronte. Come fronteggiarlo allora, con atti concreti? C’è chi, in Vaticano, il problema se l’è posto, giungendo ad elaborare un programma per capire meglio la questione ed elaborare piani di intervento.

Un progetto che prevede, in serie, la misurazione del fenomeno, in termini di diffusione quanto della percezione che grava sui ragazzi; l’esplorazione delle leggi già esistenti, approvate o in preparazione, nei governi dei vari Paesi, e il loro effettivo impatto; infine il monitoraggio delle metodologie di intervento che hanno prodotto risultati migliori, per capire quali sono le pratiche più efficienti create appositamente per prevenire e combattere il fenomeno.

Ico, International Cyberbullying Observatory, ovvero l’Osservatorio internazionale sul cyberbullismo, è la sigla dell’organismo in questione, che avrà sede in Vaticano e che è promosso da Scholas Occurentes, la rete di oltre 440mila scuole in tutto il mondo avviata da Papa Francesco allo scopo di promuovere il diritto all’educazione, e dalla Fondazione Carolina, associazione che prende il nome da una delle prime vittime in assoluto di cyberbullismo, Carolina Picchio, e che in suo nome si trova impegnata nella tutela dei minori in alcune delle maglie più oscure e pericolose della rete.

I primi dati esposti durante la presentazione a Roma, nella Sala Marconi della Radio Vaticana, legati all’indagine globale sull’esperienza degli studenti sulle piattaforme digitali che verrà presentata in maniera completa ad aprile, mostrando che più o meno un ragazzo su quattro, e a partire dall’età di soli undici anni, ha avuto a che fare in maniera diretta con episodi di cyberbullismo. Per una cifra di milleduecento casi nuovi all’anno di problematiche legate a internet, cyber bullismo e sex thing. Un dato ancora più allarmante per le famiglie italiane è poi quello che dice come nel nostro Paese ben l’undici per cento dei bambini vittime di questi atti di violenza confessi di aver pensato almeno una volta a compiere l’estremo gesto, ovvero il suicidio.

“Non vogliamo il silenzio, vogliamo combattere il bullismo prendendo una posizione chiara”, è l’appello lanciato durante la presentazione da Jose Maria del Corral, presidente della Fondazione Scholas. “I principali responsabili del bullismo siamo noi, l’opinione pubblica”, e non bastasse, dopo essere bullizzati gli stessi ragazzi spesso vedono che “c’è un gruppo silenzioso che tace, che festeggia o che non ha il coraggio di denunciare, perché l’aggressione sia fermata alla radice. Il bullo, in questo modo, si sente applaudito”, spiega. Il punto infatti messo in luce nel corso dell’evento dai presenti è che è necessario, quanto fondamentale, dare la giusta importanza allo strumento tecnologico, e allo stesso tempo mettere in primo piano la famiglia, non i bulli. “Nella comunità educante il luogo principale è la famiglia”, ribadiscono i promotori dell’iniziativa.

Sarà al termine del maxi evento di tre giorni che avrà luogo nella prossima primavera, e che coinvolgerà oltre cinquanta università, rappresentanti governativi di oltre trenta paesi, colossi del web, esperti e gli stessi giovani, ricalcando in qualche modo il modello del Sinodo dei vescovi appena terminato, che verrà ufficialmente istituito l’Osservatorio. L’esperienza sinodale pare cioè avere raccolto così tanto entusiasmo da parte dei partecipanti che, considerato ormai modello virtuoso di incontro, ascolto dopo discussione, verrà replicato anche per risolvere la problematica particolare del cyberbullismo, di stretto interesse dei giovani.

“Abbiamo un Papa che ascolta il doppio di quanto parla e che ci ha insegnato che l’educazione è ascolto. Così è nata la storia di Scholas, pensando che il problema dei giovani è solo dell’Argentina. Mi ha detto: guardate che in tutto il mondo i giovani hanno problemi e non trovano risposte. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo cambiare l’educazione”, commenta non a caso Del Corral. “Sarà il primo congresso mondiale che metterà a confronto i risultati delle ricerche e le proposte fatte direttamente dai ragazzi sul tema, fatte pervenire direttamente agli stakeholder presenti, che ascoltando la loro potranno confrontarsi su aspetti concreti per risolvere il problema”, spiegano i promotori. “Dopo l’idea del convegno ci siamo trovati per strada senza avere informazioni, e incrociando quelle esistenti i risultati erano molto poco consistenti”, specificano. E molti di questi giovani sono già da questi giorni al lavoro a Castelgandolfo “per condividere esperienze, dati, metodologie e buone pratiche”.

“Le parole fanno male più delle botte”, scriveva invece Carolina, il cui papà, Paolo Picchio dopo aver dato vita alla Fondazione che prende il nome della figlia, di cui ora è presidente, ha fatto il giro di più di trecento scuole e incontrato più di trentamila ragazzi per sensibilizzare sulla tragicità talvolta del tema. Lui stesso inizialmente non comprendeva il perché la figlia si fosse uccisa. “Spero che adesso siate tutti più sensibili alle parole”, sono le sue parole. Picchio ha poi elogiato la legge attualmente in vigore in Italia, la prima in Europa sul cyberbullismo, ma che nonostante ciò resta “la necessità di costruire insieme eventi bisogna portare nei laboratori persone per fare educazione”. “Noi vogliamo che il nostro progetto diventi sempre più vasto. Vogliamo riuscire a capire il fenomeno a livello mondiale, perché riuscendo a capirlo possiamo riuscire a limitarlo”, è la sua chiosa, deciso.

“Papa Francesco affida all’educazione il compito di cambiare, perché vede nell’educazione uno strumento di cambiamento profondo”, incalza il pedagogista Italo Fiorin. “Internet può essere una occasione per aumentare la capacità di incontrare gli altri, ma anche per chiuderci, trasformando un incontro reale in artificiale e virtuale”, e per questo “c’è una sfida educativa che sollecita in due direzioni: imparare a sfruttare le potenzialità della rete, punto che tocca tutto il tema dell’apprendimento. Ma c’è anche l’altra dimensione, quella del rischio e di come la rete talvolta crea drammi”.

Un dramma del quale la ragione più comune è la solitudine che deriva, per i ragazzi, nel momento di doverlo fronteggiare. “Internet è un grandissimo veicolo di collegamento tra i giovani, ma possiede anche un alto tasso di pericolosità: la rete va navigata, va vissuta, ma bisogna insegnare ai ragazzi come si naviga e cercare di prevedere come arriveranno, attraverso di essa, i prossimi fenomeni che poi, purtroppo, si traducono in numeri umani, se non si fa un’efficace opera di prevenzione”, ha infatti spiegato in conclusione Luca Bernardo, medico e docente. “Dobbiamo anticipare la pericolosità della rete, che è capace di fare incontrare persone lontane ma ha creato una rete senza rete e un mondo senza confini, in cui possono entrare persone che emarginano le vittime e creano reti negative di bullismo. Servono dati su come si naviga e da dove arrivano fenomeni come questi, che si traducono in numeri umani di sofferenze e tragedie”.


×

Iscriviti alla newsletter