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Brexit e derivati. Ecco che cosa rischia l’Europa (e quindi l’Italia)

Per essere potenzialmente pericolosi lo sono. Non c’è bisogno di sforzarsi più di tanto, si fa presto a pensare alle vicende di Mps in Italia e Deutsche Bank in Germania (qui l’articolo di ieri sui movimenti della banca tedesca). I contratti derivati, il cui prezzo cioè è basato sul valore di un altro prodotto, sono da sempre lo spauracchio delle economie mondiali, perché in caso di shock finanziario o di crisi di liquidità, possono creare serissimi problemi all’intera economia. Adesso la mina derivati (che nel mondo valgono 2,2 milioni di miliardi di euro, 33 volte il pil globale) rischia ancora di dare delle preoccupazioni. Perché?

TRA BREXIT E DERIVATI

Il problema sta nella Brexit. Il Regno Unito si prepara a lasciare definitivamente l’Europa, bisogna capire però come e in che tempi. Un addio troppo veloce e repentino, la cosiddetta hard Brexit, potrebbe infatti portare a delle criticità per tutte quelle istituzioni finanziarie, soprattutto europee, che hanno in essere contratti derivati con la Gran Bretagna. Il problema nasce dal fatto che, se il divorzio tra Gran Bretagna e Ue avvenisse senza accordo, le banche inglesi perderebbero il passaporto europeo e dunque non potrebbero più offrire servizi finanziari nell’Unione europea. Questo metterebbe a rischio la continuità contrattuale in tanti ambiti finanziari. A partire dai derivati. Dunque, in sostanza, le banche britanniche non sarebbero infatti più abilitate ad eseguire determinate operazioni connesse a contratti derivati stipulati con clienti comunitari.

L’ALLARME DELLA BANK OF ENGLAND

La spia a dire la verità si era già accesa questa estate, con un allarme piuttosto forte lanciato dalla Bank of England, che già paventava i rischi di un’uscita traumatica della Gran Bretagna dall’Europa. Nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria, la banca centrale inglese prospettava proprio per il prossimo marzo una forte stretta finanziaria sui contratti derivati con un valore totale di quasi 30 mila miliardi di sterline (34 mila miliardi di euro). “Le parti con sede nel Regno Unito o nello spazio economico europeo potrebbero non essere più dotate delle necessarie autorizzazioni per effettuare il servicing relativo a determinati contratti derivati Otc (over the counter, della famiglia dei derivati, ndr) insoluti nei quali siano coinvolte insieme a parti che hanno la loro sede nell’altra giurisdizione”, aveva scritto l’istituto centrale britannico. Il rischio, insomma, è che una Brexit troppo veloce trovi sguarniti molti Stati membri della necessaria legislazione finanziaria con cui trattare questi contratti. I quali finirebbero in una sorta di terra di mezzo normativa, con tutti i rischi del caso.

LA MOSSA DEL TESORO

Tra i Paesi alle prese con il vuoto normativo nel campo dei derivati c’è l’Italia. Che queste tipologie di prodotti finanziari li conosce bene, non solo per le sue vicende bancarie ma anche perché lo stesso Stato italiano, per mezzo del Tesoro, detiene in pancia oltre 120 miliardi di derivati (143 nel 2016). A Via XX Settembre sono comunque corsi ai ripari, come rivelato oggi dal Sole 24 Ore, come hanno peraltro già fatto Germania, Francia e Olanda. Il ministro Giovanni Tria ha infatti avviato un tavolo tecnico che coinvolge tutte le autorità del settore finanziario per colmare il buco legislativo che si creerebbe sui contratti derivati in caso di divorzio duro tra Gran Bretagna e Unione europea. Obiettivo, consentire alle imprese italiane di continuare ad operare con le controparti britanniche, per un periodo transitorio, senza dover forzosamente chiudere i derivati e aprirne di nuovi con altre banche.

HARD BREXIT IN VISTA

La tanto temuta hard Brexit, comunque, è quasi una realtà ormai. Proprio in queste ore infatti il governo di Theresa May si sta riunendo per discutere se rafforzare i preparativi per una no-deal-Brexit, per un’uscita dall’Unione europea non disciplinata da un accordo raggiunto tra le parti. Proprio ieri la premier May ha annunciato la decisione di spostare il voto in parlamento sull’accordo raggiunto con l’Ue alla settimana che inizia il 14 gennaio. Insomma, hard Brexit in vista.

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