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Burocrate a chi?

È stato recentemente presentato, nel corso di un affollato dibattito al Palazzo di Giustizia a Roma, un libro recante un titolo che, di per sé, è una rivendicazione di orgoglio: Burocrate a chi? Riflessioni sulla pubblica amministrazione (Rubbettino Editore, 2018). Il volumetto, agile e destinato anche e soprattutto a un pubblico di non addetti ai lavori, è stato scritto da una “burocrate” di carriera, Paola D’Avena, e si inserisce in un dibattito pubblico troppo spesso partigiano e avvelenato, che vive di luoghi comuni e che manca drammaticamente di respiro lungo. Da questo punto di vista, è certamente degno di nota che sia una pubblica funzionaria, dirigente generale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a prendere la parola e dire la propria, segno del fatto che se il civil servant parla certamente con i propri atti, non deve rinunciare a far conoscere la propria opinione su temi fondamentali legati ai precetti costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. Diciamolo subito: non si è in presenza di una difesa a spada tratta del funzionario pubblico e della macchina amministrativa Italiana, i cui problemi sono molti e radicati. Tuttavia, nell’affrontare alcuni dei temi nodali per la PA, come la dirigenza, la valutazione e i controlli, la comunicazione, il volume offre alcune proposte pratiche di intervento (minimali, le definisce l‘Autrice), mettendo in luce le contraddizioni profonde che possono celarsi dietro ogni riforma dell’amministrazione. Anzi, potrebbe dirsi che le grandi riforme, che si ama periodicamente battezzare come epocali, e che investono in primis la dirigenza, rappresentino non infrequentemente un grande inganno. Chiunque mastichi di amministrazione, come l’Autrice, è ben consapevole che la promulgazione di una legge costituisce solo il primo passo verso la modifica dell’esistente e la produzione di effetti positivi per i cittadini. Mentre la responsabilità della fase di messa in pratica ricade sulla macchina pubblica, che ha il compito di sbrogliare contraddizioni, trovare soluzioni pratiche, spianare la strada alla corretta implementazione delle norme. Non casualmente, il libro, nell’attraversare orizzontalmente le dimensioni più significative della vita dell’amministrazione, tiene ben presente la figura del dirigente e del rapporto fra quest’ultimo e la politica, la cui dinamica, spesso vivace, influenza l’azione amministrativa. Un rapporto che, indispensabile al corretto funzionamento delle amministrazioni (e dello Stato, occorre aggiungere), talvolta si piega e si deforma per adattarsi ad uno scambio al ribasso su cui i due attori decidono di patteggiare: per l’appetito della politica, che naturaliter cerca appoggi solidi all’interno della burocrazia, e per l’opportunismo della dirigenza, che può, dal canto suo, mostrarsi fedele al Principe del momento per perseguire una propria, personale agenda. Per combattere tali patologie, che pure esistono, occorre non dimenticare che la risorsa più importante su cui le organizzazioni pubbliche possono contare resta la risorsa umana e che assume importanza fondamentale adottare tutte quelle misure che permettano alla dirigenza pubblica, che è ontologicamente diversa da quella privata, di operare al meglio anche in situazioni avverse, ovvero in presenza di funzionamenti non virtuosi del sistema. Da questo punto di vista, le pagine di D’Avena mettono a nudo le contraddizioni di un ordinamento affollato di norme e scintillante nel suo formalismo, ma costellato di insidie, di cui il dirigente può sovente essere la prima vittima. Un bagno di realtà, che fa risuonare ancor più forti le parole di Benedetto Croce che, ormai quasi un secolo fa, trattava della perfetta amministrazione, schema astratto che non può trovare rispondenza nel quotidiano. Come tutte le organizzazioni, infatti, anche quella pubblica è un essere vivente, con i suoi acciacchi e i suoi anticorpi. Con i suoi parassiti, persino. Ma per chi crede nel ruolo fondamentale dell’amministrazione pubblica nella vita democratica di un Paese, la consapevolezza di tale condizione è una ragione in più per non smettere di ricercare soluzioni per il migliore funzionamento degli apparati burocratici e per tentare di dar vita ad una discussione seria e profonda, a prescindere dalle maggioranze politiche e dalla mutevolezza delle opinioni pubbliche.


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