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Il C9 di Papa Francesco perde tre pezzi, mentre in Vaticano si fa economia

Il Papa li ha ringraziati “per il lavoro svolto in questi anni”, ma la questione è che “al momento, considerata la fase del lavoro del Consiglio, non è prevista la nomina di nuovi membri”. Lo ha spiegato in Vaticano il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Greg Burke mentre annunciava ai giornalisti che il C9, il consiglio dei cardinali fatto nascere nel 2013 da Papa Francesco in aiuto al suo lavoro di riforma della Curia romana, da oggi si riduce e diventa C6.

Si è infatti appena concluso in Vaticano l’ultimo incontro dei porporati per il 2018, il ventisettesimo in totale, e la vera notizia che da questo si apprende, e che si attendeva dopo le scorse riunioni, è l’uscita dalla squadra del cardinale australiano George Pell, del cileno Francisco Xavier Errazuriz e del congolese Laurent Monswengo Pasinya. Tre personalità che in comune hanno solamente l’età avanzata, superiore ai 75 anni, l’età in cui un cardinale è tenuto ad andare in pensione a meno che non se ne verifichi un rinvio, cosa che spesso accade. Ma, allo stesso tempo, tre figure al centro di contesti complicati e ardui, che, con evidenza, impediscono loro di seguire le attività del Pontefice di Governo della Chiesa di Roma.

Partendo dal primo caso, quello senza dubbio meno problematico del congolese Pasinya, non si conoscono grandi dettagli se non il fatto che l’attuale arcivescovo di Kinshasa si trova da tempo, più di un anno, impegnato nel lavoro complesso e delicato di tessere le trame della pacificazione in quella Repubblica Democratica del Congo piegata dalla crisi sociale e politica, con milioni di cittadini in fuga dalle proprie case per vie delle violenze e dei combattimenti, senza contare il problema di Ebola che soltanto dallo scorso agosto ha già mietuto quasi trecento vittime. Un’attività, quella a cui partecipa il cardinale congolese, che vede nella Chiesa cattolica un soggetto in prima linea e nel porporato un abile attore. Al punto da far girare, nei mesi scorsi, perfino le voci di una sua candidatura alla presidenza del Paese. Richiesta, poi smentita, nata dalla petizione di un gruppo di cattolici laici che hanno visto nel religioso l’unico possibile contendente dell’attuale controversa presidente Joseph Kabila, al potere dal 2001 e che pare non voglia lasciare per alcuna ragione la sua carica, nemmeno se sono le regole costituzionali a richiederlo.

Poi, invece, c’è la vicenda del cileno Errazuriz. Finito nel pieno epicentro del terremoto che ha scosso la chiesa nazionale trascinandola fino alle dimissioni in massa dell’episcopato,  la sua colpa è di avere insabbiato le terribili malefatte del sacerdote padre Fernando Karadima, dimessosi dallo stato clericale dopo un lungo iniziale tira e molla con la Chiesa cilena, vista l’influenza del carismatico e potente manovratore fin dai tempi di Pinochet, poi scopertosi invece fautore di quelli che il Vaticano considera “Delicta graviora”, delitti gravi. Tuttavia, nonostante gli sconvolgimenti dovuti agli scandali ripiombati su di lui, Errazuriz, arcivescovo emerito di Santiago del Cile, durante un breve viaggio a Roma dello scorso novembre presentò al Pontefice le sue dimissioni dal Consiglio dei cardinali, definendole in questo modo una conclusione naturale della vicenda.

Infine, l’ultima incognita è quella dell’australiano Pell. In questo caso, si tratta di un enigma perché secondo indiscrezioni stampa australiane la sentenza contro il cardinale Pell, accusato, nonostante lui abbia sempre respinto in maniera netta ogni tipo di imputazione, di aver compiuto abusi su dei chierichetti minorenni nel periodo in cui ricopriva la carica di vescovo di Melbourne, si sarebbe infine conclusa con una condanna ai danni del porporato. L’esito però di fatto non è in realtà ancora stata reso pubblico, visto che sarebbe stato emesso da parte del giudice una sorta di ordine bavaglio, per cui resta ancora del tutto incauto parlarne. “Siamo consapevoli del provvedimento in atto che impone il silenzio, e noi rispettiamo tale ordinanza”, ha sinteticamente risposto il portavoce vaticano Greg Burke, interpellato dai giornalisti sulla questione, non confermando il riscontro della sentenza ma convenendo sul fatto che ne esiste già uno, e sottolineando che in ogni caso “la Santa Sede ha il massimo rispetto per le autorità giudiziarie australiane”.

Il cardinale Pell infatti dal 2017 si trova in Australia proprio per difendersi di fronte al tribunale di Melbourne, dopo che nel 2014 era stato anche nominato primo prefetto della Segreteria per l’economia, un ruolo che ancora, almeno per il momento, riveste. Il vaticanista Marco Tosatti, commentando la vicenda sul suo blog, sostiene che “sarebbe stato riconosciuto colpevole di abusi nei confronti di due ragazzi del coro quando era arcivescovo, dopo che una precedente giuria non aveva ritenuto di potersi esprimere sul caso”, anche se “di tutta la questione si sa molto poco”, e altresì che “non si può evitare il sospetto che vi siano interessi economici, politici e ideologici dietro tutto questo”.

Durante invece i lavori del Consiglio sono intervenuti per la prima volta le due novità laiche della Santa Sede, vale a dire il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini e il rettore della Pontificia Università Lateranense Vincenzo Buonomo. E sono stati affrontati diversi temi, tra cui il contenimento dei costi della Santa Sede, la convocazione per il prossimo febbraio in Vaticano dei presidenti delle Conferenze episcopali nazionali per parlare di “protezione dei minori”, e la questione della nuova Costituzione apostolica della Curia romana, di cui è stata consegnata al Pontefice una nuova proposta il cui titolo provvisorio è “Predicate evangelium” e di cui “forse tra poco potremmo togliere il provvisorio”, ha spiegato Burke, sostituendo così la Pastor Bonus ancora vigente.

Ultima grana affrontata, infine, è quella della riduzione dei costi della Santa Sede. Pare infatti che per ragioni di bilancio Bergoglio sia stato costretto a ridurre il personale vaticano, visto che il costo più ingente sarebbe infatti proprio quello relativo al personale, come avrebbe spiegato durante l’incontro il cardinale tedesco Reinhard Marx, coordinatore del Consiglio per l’economia. Nessun licenziamento sarà tuttavia effettuato, ma solo “ricollocamenti attraverso la mobilità e, dove possibile, il pre-pensionamento”, ha spiegato il portavoce Burke, riportando che “è stato nuovamente ribadito che non c’è alcun progetto o intenzione di procedere al licenziamento di eventuali esuberi, ma sarebbero da realizzare ‘job descriptions’ per rendere più efficace il lavoro di ogni Dicastero”. Una scelta dettata dal “senso di responsabilità”, ha specificato il giornalista, che però “richiede un piano a lungo termine”.

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