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Blockchain, Casaleggio non c’entra. La svolta digitale non sia tabù 

Blockchain

Oggi, sui quotidiani, due notizie sul fronte politica e digitale: una buona, una preoccupante.
Partiamo dalla seconda. Il nostro Paese negli ultimi dieci anni, ha subìto un consistente e dannoso rallentamento nella comprensione e nell’applicazione delle tecnologie digitali per ragioni politiche. Il M5S, avversario politico di Pd e Fi, è stato identificato con la tecnologia. Quest’ultima, rifiutata e derisa per affossare un Movimento in crescita di consenso.

Un caso unico al mondo di eutanasia, di rinuncia aprioristica a piantare i semi del futuro. Un esempio per tutti. Nel 2013 Paolo Bernini, deputato, annunciò la sperimentazione del chip sottopelle, con annesse preoccupazioni sulle possibilità di controllo che questa tecnologia comportava. Dagli avversari politici e dai giornali la dichiarazione fu etichettata come delirante e complottista; Bernini deriso da tutti, anche dal Presidente del Consiglio. Oggi il chip sottopelle è ampiamente utilizzato in varie parti del mondo (in Svezia, anche per pagare la metro) con ampia preoccupazione sul fronte Privacy, controllo e tracciabilità.

Allora la dichiarazione fu addirittura equiparata alle scie chimiche e alla teoria della terra piatta (quelle sì abbastanza stravaganti); oggi i titoli dei giornali sono identici alle dichiarazioni di Bernini del 2013. Ad altre tecnologie, dagli algoritmi predittivi alla lettura degli impulsi cerebrali da parte dei sistemi sofisticati, non andò meglio. La tecnologia non andrebbe mai attaccata per ragioni politiche; né tantomeno la scienza, che resta mentre i partiti nascono e muoiono. Purtroppo l’esperienza non è bastata se ancora adesso sui principali quotidiani si insinua che la blockchain sia una roba di Casaleggio (come se producesse blockchain lui stesso di notte), che il governo abbia stanziato fondi per questa tecnologia solo e unicamente per favorire la Casaleggio Associati (e il resto d’Europa allora?).

Comunque la si pensi sul governo il rischio nel presentare le cose in questo modo è di continuare sul solco sbagliato: rallentare ancora la divulgazione e l’investimento italiano in ricerca e tech; sminuire agli occhi dei cittadini – per ragioni politiche- le potenzialità di una tecnologia che rappresenta sì ancora un’incognita, ma su cui sta investendo tutto il mondo: il Govtech di Singapore, il Giappone, JP Morgan, Ibm, il governo di Dubai, Taiwan, l’Estonia, Accenture, il Mit di Boston… solo per citare gli esempi che ho sondato di persona.

La buona notizia, nella stessa pagina del Corriere, è che qualcuno ha finalmente capito che la politica è cambiata per sempre e che non potrà più prescindere dal digitale. Francesco Boccia ieri nel suo seminario #aPorteAperte ha rotto la bolla dentro la quale si è trincerata la vecchia politica e, indicando le criticità della piattaforma Rousseau, ha implicitamente riconosciuto l’ intuizione imprescindibile dietro quel sistema; al punto di arrivare a lanciare l’idea di una piattaforma per il suo partito. Resta da capire quanti nel Pd abbiano capito di cosa stesse parlando e quanto ci metteranno anche gli altri politici, di tutti i partiti, a mettersi a studiare quello che chiamano futuro, ma che fuori dall’Italia (Cina, Singapore, Estonia, Finlandia, Emirati Arabi, Kenya, Cile, Taiwan…) è già presente in molte sfumature, diverse anche dal sistema Rousseau.


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