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Uno vale uno? I casi di Cairo e Crosetto smentiscono la tesi del M5S

difesa

Governare costa fatica, ma non solo. Il costo maggiore, o forse sarebbe meglio dire il rischio, è quello di essere travolti da inchieste giudiziarie con una fine incerta, perché i tempi della giustizia italiana sono, come si è detto spesso, lunghissimi. A confermare questo pensiero sono stati, in questi ultimi giorni, due personaggi di diversa estrazione, ma accumunati da un interesse per le sorti dell’Italia che li ha portati a scendere in campo, seppure in diversi modi. Il primo è Urbano Cairo, editore del Corriere della Sera nonché di La7, imprenditore di successo; il sencondo è Guido Crosetto, deputato (ancora per poco, dice lui) con Fratelli d’Italia e, anche lui, imprenditore ma nel settore delle macchine agricole.

“Ci pensi a entrare in politica?”. La domanda è diretta, come tutta la conversazione tra Cesare Lanza e Urbano Cairo ospitata oggi nelle pagine di La Verità, in cui il giornalista riporta un incontro fatto con l’editore del Corsera che, spiega Lanza, non era destinato a diventare intervista. “Mi ha detto che so aspettare il momento giusto – risponde Cairo -. Ma la prudenza prevale e mi dice che i rischi sono pericolosi”.

Allo stesso modo, con termini forse diversi, Guido Crosetto ribadisce il concetto: la politica attiva è rischiosa, se sei un uomo del fare come lui. Nella conversazione con Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano di ieri, Crosetto, dato come prossimo presidente del Piemonte dal giornalista del Fatto, manifesta la sua passione politica: “Mi piacerebbe tanto fare il presidente della Regione…”, ma poi il ma: “Farei così tanto che dopo un po’ mi giungerebbe un avviso di garanzia”.

“Fare l’amministratore pubblico – ricorda Riccardo Mazzoni sul Tempo – assomiglia sempre più a un atto eroico in un Paese che ogni giorno produce in media ventun pagine di nuovi provvedimenti normativi”. Da Tangentopoli in poi, scrive ancora l’ex parlamentare e giornalista, per combattere la corruzione in politica si è puntato ad alzare le pene, mentre bisognerebbe semplificare le procedure amministrative per agevolare il lavoro di chi, in prima linea, si spende per governare città e regioni. La legge voluta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, invece, prosegue sulla scia di Tangentopoli, elevando le pene e introducendo l’agente sotto copertura, “con il rischio di trasformare la pubblica amministrazione in un luogo più di delazioni reciproche che di erogazione funzionale di servizi ai cittadini”.

“Crosetto ha dunque mille ragioni a non candidarsi”, chiude Mazzoni, e così i rischi “pericolosi” citati da Cairo sembrano avere le stesse fattezze delle preoccupazioni del deputato di Fd’I. Uno vale uno, allora? Forse sì, ma la classe dirigente italiana rischia di perdere sempre più pezzi sull’altare delle possibili inchieste infinite.

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