L’Italia degli eterni adolescenti. Nella tragedia di Corinaldo, come già scritto su queste pagine, abbiamo visto gli effetti nefasti della mancanza di rispetto delle regole, anche le più basilari. Quelle del vivere civile, prima ancora che amministrative o penali. Eppure, i commenti dei giorni dopo rischiano di lasciare ancora più sconcertati: si pensi al surreale dibattito sulla responsabilità o meno dell’artista, atteso nella notte della tragedia, in quella maledetta discoteca.
C’è chi si affanna a sollevarlo da qualsiasi responsabilità, come autorevoli colleghi di Sfera Ebbasta sul Corriere della Sera, mancando di sottolineare l’ovvio. L’etica del lavoro o almeno la professionalità imporrebbero un controllo stringente dei luoghi in cui ci si esibisce. Compito del suo staff, si dirà, come se parlassimo di entità estranee.
Un personaggio pubblico e chi gli ruota intorno devono avere e sentire delle responsabilità, nei confronti di chi gli garantisce fama, successo e denaro. Invece no, per tantissimi italiani è sufficiente indicare coloro che saranno chiamati a rispondere in sede penale e tutto il resto, in definitiva, può continuare così. Invece, non può continuare così, l’andazzo del “così fan tutti” fa male a tutti.
Il tema non è circoscritto a gravissimi casi di cronaca, si pensi al dibattito pubblico sui mesi che ci attendono. Ci si continua raccontare che, più della realtà e dei famigerati numerini, contino i desideri delle persone e soprattutto le promesse fatte. Cos’è questa, se non una mancanza di senso di responsabilità?
Compito di chi governa, amministra, decide per gli altri, non può essere solo dire di voler far felici le persone, salvando sempre e comunque la propria faccia. Se si è ecceduto nelle promesse, c’è sempre tempo per ammetterlo, semmai rimodulandole. Non c’è nulla di irresponsabile in questo, eppure questo Paese sembra voler parlare a se stesso, usando solo il linguaggio dell’adolescenza. Per sempre.
Scegliamo di crescere, piuttosto, prima che qualcun altro scelga per noi.