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Cosa serve (e quanto) alla Libia per il referendum costituzionale

In Libia potrebbe essere possibile organizzare un referendum costituzionale nel prossimo febbraio. Lo ha detto il numero uno della commissione elettorale, Imed al-Sayeh, considerata una delle poche istituzioni indipendenti nel paese.

Ma c’è da superare lo scoglio dei fondi da utilizzare per la logistica e la sicurezza, dopo che nel maggio scorso alcuni kamikaze avevano fatto irruzione nel quartier generale della commissione elettorale di Tripoli, uccidendo 14 persone, tra cui nove membri dello staff, in un attacco rivendicato dal gruppo dello Stato islamico. Intanto Conte riceve Haftar.

QUADRO

La commissione elettorale della Libia potrebbe organizzare un referendum su una nuova costituzione solo se riceverà garanzie e fondi per la sicurezza. Le parole di al-Sayeh si inseriscono in un momento per così dire ibrido sulle sorti del paese. Da un lato i frutti politici del vertice internazionale di Palermo, con incontri, interlocuzioni e possibili corridoi riaperti, dall’altro il dato sulla produzione di greggio, diminuita di circa 300.000 barili dall’inizio di questo mese a causa delle chiusure dei terminal di esportazione.

È chiaro, quindi, che se il primo ostacolo verso le urne è stato superato (ovvero quando il parlamento ha approvato a metà settembre una legge sul referendum) c’è adesso aperta la questione relativa ai fondi, per quella che lo stesso al-Sayeh ha definito una “grande sfida”. La commissione necessita di 40 milioni di dinari libici (circa 30 milioni di dollari) per organizzare il referendum.

PASSI

Uno scenario in cui si inserisce un possibile nuovo incontro tra Serraj e Haftar dopo il contatto controverso dello scorso 13 novembre in Sicilia. Ma non mancano le difficoltà, anche ideologiche a riguardo. In primis da parte di alcuni consiglieri della Gna (Government of National Accord) che sconsigliano Serraj, in quanto pesano il generale Haftar come un dittatore quindi non come un interlocutore.

Altri invece, tra cui molti capi tribù, si sono convinti che Haftar sia attore in grado di sostenere una riunificazione, dal momento che controlla quella porzione di territorio da cui è possibile combattere le milizie islamiche e dialogare anche con Il Cairo. Nel mezzo i tentativi della comunità internazionale di organizzare le elezioni nel 2019, dopo lo stop dello scorso autunno a seguito della ripresa delle violenze. Per cui dalla “conferenza di stabilizzazione”, così come è stato ribattezzato l’appuntamento siciliano, ecco che è immaginabile ripartire per riallacciare i fili delle singole anime libiche, appianando divergenze e cerchiando in rosso l’obiettivo comune.

SCENARI

In questo senso si inserisce la visita lampo del generale Haftar a Palazzo Chigi ricevuto dal premier Giuseppe Conte: un’occasione di rinsaldare rapporti e legami, oltre che di elaborare un cronoprogramma sui prossimi passi da attuare nel 2019. Un passaggio sarebbe stato fatto anche sulla necessità di continuare a sostenere l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia Ghassan Salameh “e il suo impegno per la stabilizzazione del paese”. Ma è evidente che propedeutica a questo obiettivo è la ricomposizione, anche personale, di rapporti e canali di comunicazione dopo i tentennamenti osservati a Palermo, dove il generale non ha preso parte all’intera conferenza e dove la Turchia, stizzita, ha ritirato il proprio rappresentante prima della conclusione dei lavori.

GREGGIO

Il nodo resta ancorato anche (o soprattutto) alla gestione dei terminali petroliferi: la NOC (National Oil Company) può contare sulle guardie di protezione del petrolio, mossa che garantisce al colosso di Stato la manutenzione sulle installazioni petrolifere, per una durata di cunque anni e un costo di 60 miliardi di dollari. Ma con il risultato che la produzione toccherà i due milioni di barili al giorno entro il 2022, contro quella attuale di circa 1,25 milioni di barili. In che modo? Attraverso un lavoro diplomatico, Noc ha prospettato alle tribù un quadro di insieme, dove le strutture petrolifere rappresenteranno una risorsa in prospettiva anche per loro, valorizzata da un governo unitario che farà da cabina di regia.

Un messaggio che pare abbia sollticato i capi tribù più lungimiranti, con la prospettiva di immaginare una stabilizzazione, quindi in primis politica con il referendum, che possa essere anticamera ad una fase davvero nuova per il paese. Ovviamente non mancano le variabili a questo scenario, come le influenze esterne, la possibile ripresa delle sortite jihadiste legate all’Isis e le controversie di quei players che non vedono con favore una stagione di normalizzazione.

twitter@FDepalo

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