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Ddl Pillon, ideologia e interessi di parte dietro le critiche

Se la critica, anche accesa, è il sale della democrazia, va detto senza mezzi termini che la virulenta campagna scatenata dalle opposizioni ma che si è allargata a macchia d’olio fino a coinvolgere anche esponenti del governo , associazioni e movimenti della società civile – e che nei giorni scorsi è sfociata addirittura in una serie di manifestazioni di protesta in tutta Italia – contro il disegno di legge presentato dal senatore leghista Simone Pillon che punta a riformare la delicata materia dell’affido condiviso, di democratico ha ben poco. E molto invece di ideologico. Ciò di cui si sta parlando, e che attualmente è in discussione in commissione giustizia del Senato, è un progetto – recita la relazione introduttiva – che intende portare il diritto di famiglia “…verso una progressiva de-giurisdizionalizzazione, rimettendo al centro la famiglia e i genitori e soprattutto restituendo in ogni occasione possibile i genitori il diritto di decidere sul futuro dei loro figli lasciando al giudice il ruolo residuale di decidere nel caso di mancato accordo, ovvero di verificare la non contrarietà all’interese del minore delle decisioni assunte dai genitori”. Innanzitutto il disegno di legge è stato presentato pochi mesi fa, ed è altamente probabile che ove mai dovesse arrivare al traguardo, con ogni probabilità il testo finale sarà diverso da quello attuale. Tutto insomma è in divenire, e anche per questo una maggior prudenza prima di lanciare anatemi a palle incatenate sarebbe quanto mai opportuna. Detto ciò, il punto importante da sottolineare è che al centro del ddl, e coerentemente con il principio di sussidiarietà, i promotori hanno inteso ri-mettere la famiglia al centro sottraendo quanto più possibile ai tribunali il potere di decidere del futuro dei figli. Il che è un principio assolutamente condivisibile e sacrosanto. Principio da cui ne deriva un altro, altrettanto importante: il fatto cioè che i genitori, quando si verificano situazioni di crisi tali da poter sfociare in separazioni e divorzi (che per un figlio, con buona pace della vulgata corrente politicamente corretta, sono sempre un trauma fonte di enormi sofferenze), riescano o quanto meno provino a trovare un accordo. E qui arriviamo al cuore del disegno di legge. Che solo in subordine, se mi si passa l’estremizzazione, quando cioè non c’è più nulla da fare e si va verso la separazione, mette mano all’affido condiviso e a tutto ciò che ruota attorno ad esso con un progetto di riforma della legge n. 54 del 2006, rimasta nei fatti inapplicata; perchè prima, e innanzitutto, c’è l’esigenza – di nuovo, sacrosanta e legittima – di quanto meno provare a salvare il vincolo matrimoniale. Dov’è lo scandalo? Dove l’attentato alle libertà, ai diritti dei bambini, all’autodeterminazione delle donne, al diritto di divorziare e di separarsi? Il ddl in questione si ispira a quattro criteri il primo dei quali prevede la figura del “mediatore familiare”, il cui intervento è previsto obbligatoriamente quando siano coinvolti figli minorenni. Oltre alla mediazione civile obbligatoria in caso di minori, gli altri tre criteri sono a) l’equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari, b) il mantenimento in forma diretta senza automatismi e c) il contrasto dell’alienazione genitoriale. Tornando alla mediazione civile, è importante sottolineare come la previsione di questo istituto sia coerente con il principio poc’anzi espresso di rimettere al centro la famiglia. Perchè grazie alla mediazione civile a molte famiglie potrebbe – questo il punto – essere risparmiato il calvario della lite giudiziaria, con tutto ciò che esso comporta anche, e pur non essendo questo l’aspetto più importante, a livello economico. Per quanto riguarda il secondo criterio, quello dell’affido condiviso, che poi è il punto su cui maggiormente si è scatenata la bagarre politica e non solo, ad una lettura scevra da pregiudizi ideologici e interessi economici di parte la norma prevista si rivela essere dettata da assoluto buon senso oltrechè mettere riparo ad una situazione, come quella attuale, che è di fatto gravemente discriminatoria e oltremodo vessatoria a livello economico nei confronti di padri e mariti separati. Diciamo le cose stanno: oggi in 9 casi su 10 quando marito e moglie si separano accade che i figli vengono affidati alla madre (il che ci sta se molto piccoli, molto meno se già grandi) mentre al marito – al quale nel frattempo viene imposto di lasciare la casa e corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento – resta la possibilità di vederli qualche giorno al mese, se gli va bene. Col risultato, fenomeno che è già diventato un’emergenza sociale, che tanti, troppi mariti e padri si ritrovano sul lastrico e costretti a mendicare un letto o un pasto caldo. Poi, ovvio, ci sono le eccezioni. Che però come tutte le eccezioni confermano la regola, regola che è ora di cambiare. Da qui l’esigenza, prevista nel ddl Pillon, che vi sia un equilibrio tra entrambe le figure genitoriali perchè i figli hanno tutto il diritto di stare, appunto, non solo con la madre ma anche con il padre. La situazione attuale, che risente anche di un retroterra culturale fortemente impregnato di un femminismo anacronistico e ideologico, non è più sostenibile. Quanto al principio del “mantenimento diretto”, esso consiste nel fatto che – così come i figli hanno diritto a stare con entrambi i genitori – al sostentamento dei minori devono provvedere “direttamente” entrambi i genitori, ribadendo per altro ciò che è già previsto dalla normativa vigente la quale solo in via eccezionale prevede l’assegno perequativo o di mantenimento. Ma, come dice l’adagio, passata la festa gabbato lo santo, e ciò che – recita la relazione – “doveva restare residuale si è trasformato in ordinario e sono davvero rarissimi i casi in cui nei provvedimenti di separazione, divorzio o di mantenimento di figli nati fuori del matrimonio non si preveda un assegno mensile a carico dell’uno o dell’altro genitore”. Quanti si oppongono al ddl Pillon sostengono che in questo modo la norma penalizzerebbe in particolare le donne, comunemente ritenute (a torto o a ragione) il coniuge economicamente debole, perchè non avendo più diritto all’assegno di mantenimento si troverebbero in grave difficoltà. Le cose in realtà stanno diversamente; lo stesso Pillon ha chiarito a più riprese che il coniuge più debole potrà continuare a percepire l’assegno di mantenimento ove ne sussistano i requisiti, e che è anche previsto un assegno perequativo qualora ciò sia indispensabile per riequilibrare le posizioni. Quello che non più accettabile, ha chiarito Pillon, è “un genitore sia trattato da bancomat e un altro da badante”. C’è poi, da ultimo, il principio del contrasto dell’alienazione genitoriale. Il fenomeno è noto, e riguarda il rifiuto da parte del minore di continuare ad avere una qualsivoglia forma di relazione con uno dei genitori. Tralasciando di soffermarci sulle cause di tale rifiuto, se si tratti cioè di un rifiuto spontaneo o non piuttosto di un rifiuto indotto dall’altro genitore che usa il figlio per i suoi scopi, il ddl Pillon sottolinea un punto importante, ossia il fatto che oggi ci troviamo di fronte ad una nuova categoria di diritti, che la sociologia ha definito “diritti relazionali” o “diritto alla relazione”. Esiste insomma un diritto, che poi corrisponde ad un bisogno esistenziale profondo, ad avere una relazione, a relazionarsi con qualcuno o se si preferisce a non stare da soli. Da questo punto di vista è indubitabile che un figlio ha tutto il diritto di conservare un rapporto, una relazione con i suoi genitori anche dopo una separazione. Questo, in estrema sintesi, l’impianto di fondo del contestatissimo ddl Pillon. Un impianto che punta a sanare evidenti storture accumulatesi negli anni a causa di una prassi non scevra da una visione sbilanciata del rapporto uomo-donna, rimettendo al centro la famiglia, puntando ad evitare per quanto possibile il calvario delle cause legali, garantendo ai figli un giusto e sacrosanto diritto di stare in egual misura con entrambi i genitori, i quali devono farsi carico direttamente del loro sostentamento ovviamente in modo proporzionale alle rispettive possibilità, superando in tal modo schemi e logiche del passato che oltre che essere non più aderenti alla realtà (di sicuro non più come prima) hanno nei fatti generato situazioni ben peggiori di quelle che si volevano sanare. Ben venga dunque un progetto, come tutti i progetti perfettibile e migliorabile, che punta a rivedere tutta la materia. C’è tuttavia un elemento da aggiungere. Si dà infatti il caso che Pillon sia cattolico, e che sia stato tra i promotori dei Family Day, cosa che per quella parte del paese tollerante, evoluta, dialogante e aperta all’ascolto è sinonimo di bigottismo, oscurantismo, fondamentalismo, integralismo, fanatismo, omofobia, e chi più ne ha più ne metta. Con tutto ciò che ne consegue. Al punto che Angelo Panebianco, persona di provata laicità oltreché dichiaratamente su posizioni contrarie all’attuale governo, ha riconosciuto che nei confronti del ddl in questione “è stata anche scatenata una campagna diffamatoria: aggressioni verbali a non finire a base di insulti feroci”. Non solo. Panebianco ha anche avuto il merito di dire le cose come stanno circa cause di tanta acredine: da un lato, gli interessi economici della categoria degli avvocati – a motivo del fatto che con l’introduzione della figura del mediatore familiare il numero delle cause legali per l’affido dei figli crollerebbe – e delle donne separate che guadagnano, poiché dovendo contribuire anch’esse al sostentamento del figlio, dovrebbero dire addio all’assegno di mantenimento. Dall’altro, quelli che Panebianco chiama i “faziosi diciamo così a titolo gratuito, quelli che nulla hanno da guadagnarci personalmente salvo una «gratificazione morale»: la gratificazione che deriva dall’avere potuto scaricare la propria aggressività contro il nemico di turno”. Definizione perfetta, direi, per i vomitatori d’odio seriali che vivono sui social network. Ai faziosi non interessa discutere nel merito delle questioni, interessa colpire e denigrare l’avversario. E da questo punto di vista, il cattolico Pillon con tutto il corollario di epiteti che lo (s)qualifica (anche presso certi ambienti sedicenti cattolici), è il bersaglio perfetto. Resta la domanda di Panebianco: “Da zero a dieci: quale punteggio assegnereste al senso morale di chi attacca una proposta di legge senza conoscerla?”.


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