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Natale in casa Di Maio. Il racconto di Pennisi

Di Maio

Si stanno preparando i festeggiamenti per il Santo Natale. La madre è ai fornelli nell’attigua cucina (un “praticabile” mostra la cucina ). Il padre ed i due figli minori sono alla prese con la preparazione del Presepe che, a loro avviso, dovrebbe essere il migliore del quartiere e vincere la pastiera offerta, come premio, dal Parroco. Grande aria di letizia per i successi di carriera del primogenito Luigi, detto Giggino. Qualche nota stonata provocata da articoli di stampa e da inchieste giornalistiche che hanno accusato il capofamiglia di incoraggiare lavoro ed abusivismo e che sono state prese sul serio dai magistrati. Queste note sono temperate da un comma delle recente legge di bilancio (“Una Grazie del Cielo” dicono, all’unisono, padre e figli minori) grazia al quale, tramite un curioso marchingegno chiamato “saldo e stralcio”, consente di risparmiare tra i cento ed in cento trenta mila euro di pendenze con il fisco. Il padre suggerisce di intonare Tu scendi dalle stelle per ringraziare una Provvidenza che – suggerisce a bassa voce ai figli – assomiglia molto al proprio primogenito. Il Tu scendi dalle stelle viene interrotto da nostalgiche canzoni che ricordano all’’anziano capo famiglia la sua militanza in gioventù . Tra queste canzoni non manca Le donne non ci vogliono più bene/ perché portiamo la camicia nera.

Mentre la famiglia si accinge a stappare bottiglie di spumante dolce – il prosecco sarebbe troppo nordico, lo Champagne non sarebbe affatto adatto a chi ha fatto della sobrietà la propria bandiera- si consuma il dramma di Giggino, il quale, nonostante l’esplosione di gioia che lo circonda, appare triste e pensieroso nella sua grisaglia di aspetto inglese, ma acquistata in un comune vesuviano quale Ottaviano –. Inizia un suo monologo guardando il pubblico, mentre i canti festosi e nostalgici della famiglia gli fanno da contrappunto.

A Giggino è venuto in mente un verso dei suoi studi liceali: quello Fu vera gloria? del manzoniano Cinque Maggio. Deve mostrare che ha stravinto in una battaglia politica che è quasi conclusa. Ma, in fondo al cuore, teme che non sia affatto così.

In primo luogo, ha letto, su un giornalaccio che pare essere il più venduto ed il più letto nel Paese, che le “sue truppe” hanno pianto proprio mentre lui proclamava la vittoria. Avrebbero pianto perché sentitesi strumentalizzati come semplici schiavetti addetti a premere pulsanti (per le votazioni) senza partecipare a decisioni. Delle lacrime non glie ne cale un bel nulla. Ma dei possibili complotti si preoccupa molto, anzi assai (come si dice dalle sue parti). I malumori all’interno del movimento di cui è stato incoronato Capo Politico ce ne sono tanti che potrebbero sfociare in complotti.

Tanto più che i suoi soli amici sono nella pattuglia non numerosa di ministri e sottosegretari. Le sue truppe potrebbero voler fargli le scarpe. Non ha alleati ma una controparte in un “contratto di governo”. Ma se – come disse Napoleone, Bismarck o qualche altro (i ricordi del Liceo sono confusi) – i trattati sono cartastraccia , lo sono a maggior ragione i ‘contratti’ per lo più se volutamente ambigui e molto incompleti.

Come fidarsi di una controparte che sino a pochi mesi fa era un avversario? A cui ha cercato di togliere i voti di pensionati ed imprenditori ma che, alla prima occasione, è pronta a fargli uno sgambetto. I dolori del giovane Di Maio prendono il tono elegiaco di quelli del giovane Werther (anche se Giggino non sa di cosa si tratti) mentre gli altri cantando ballano attorno al Presepe.

Cala lentamente il sipario.

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