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Comunicazione in ambito sanitario, perché è necessaria una formazione

Di Marco Montorsi
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Il tema della comunicazione medico paziente è da sempre uno degli aspetti più dibattuti e complessi dal punto di vista della formazione sanitaria. Considerata una delle abilità core per il medico, spesso ancora oggi fa fatica a trovare legittimità all’interno dei curricula formativi universitari. Quello a cui si assiste spesso è, infatti, una sorta di ambivalenza: da un lato valutata necessaria, perché fondante il rapporto stesso di fiducia tra medico e paziente e prioritaria proprio per la prevenzione e la gestione di situazioni di crisi, dall’altro, proprio perché appartenente alla dimensione “umana”, ridotta al dominio delle cosiddette abilità innate del soggetto.

Dal punto di vista curriculare, le importanti modifiche avvenute negli anni ’80 e ’90 all’interno dell’Ordinamento dei Corsi di Laurea in Medicina hanno permesso di inserire la comunicazione e relazione come uno degli insegnamenti core della professione medica. Questo cambio di paradigma, senz’altro significativo, ha portato le università a doversi interrogare su metodi e strumenti efficaci per offrire opportunità di sviluppo di questa complessa competenza.

In questo senso la letteratura internazionale di ambito medico da tempo suggerisce la necessità di passare da un modello di medicina biomedico a uno centrato sul paziente, che allarghi gli obiettivi della consultazione medica non solo alle componenti biologiche della malattia, ma anche alla comprensione di come il paziente la vive, delle sue aspettative, dei suoi timori, affinché si crei quella partnership tra curante e paziente che permetta a quest’ultimo di partecipare in modo consapevole al processo di cura. Questo è stato sicuramente uno dei punti principali che anche Humanitas University si è posta, ovvero abbracciare un modello di comunicazione in medicina centrato sul paziente, che fosse al tempo stesso espressione della vision del contesto clinico in cui gli studenti svolgono la loro pratica clinica.

Un altro punto prioritario è stato poi quello di definire lo “spazio” da dare allo sviluppo di queste competenze, che in termini didattici significa attribuire il numero di ore di formazione per anno dedicate a questo insegnamento lungo i 6 anni della formazione dello studente.

Gli studenti, infatti, iniziano a essere sensibilizzati ai temi dei valori della professione medica e agli aspetti della relazione medico paziente a partire dal I anno di medicina per poi essere introdotti ai temi specifici della comunicazione medico paziente dal III anno sino al V anno, affrontando progressivamente temi di crescente complessità legati alla progressione del loro percorso formativo: dalla gestione delle cattive notizie, all’approccio alla cronicità fino ai temi legati al morte e al morire. Questo in linea con la recente letteratura in Medical Education che evidenzia come l’insegnamento della comunicazione e della relazione non debba essere circoscritto all’inizio della pratica clinica, ma accompagnare lo studente lungo tutto il suo percorso formativo.

Chiaramente lo sviluppo di tali competenze avviene non solo con l’insegnamento d’aula ma anche con altre metodiche attive tipo il “roleplaying“ e l’uso di pazienti simulati: questo diventa ancora più sfidante in contesti didattici internazionali dove la presenza di studenti provenienti da mondi anche molto lontani richiede l’apertura verso nuovi fronti di studio e di ricerca sui temi della diversità e delle competenze interculturali.

Questo tipo di didattica attiva richiede un notevole investimento in risorse e di strumenti tecnologici con l’obiettivo di registrare e di poter rivedere le sessioni di consultazione in fase di debriefing, la formazione dei medici tutori che conducono i laboratori con gli studenti la creazione di un pool di pazienti simulati opportunamente istruiti a “giocare” copioni di crescente complessità, aspetti particolarmente utili per studenti internazionali che si dovranno confrontare con pazienti di diversa nazionalità e lingua nel momento di entrata nel reparto clinico.

Fondamentale è poi una costante attenzione affinché il dispositivo formativo sia legittimato dal contesto clinico, ovvero che gli studenti trovino nella pratica quotidiana la stessa attenzione alla comunicazione con il paziente sulla quale sono formati. In questo senso l’opportunità di un Teaching Hospital, che garantisce la presenza di un gruppo numeroso di tutori medici formati anche alle competenze relazionali, rappresenta forse uno dei punti più importanti di questo processo, ovvero la possibilità di garantire un circolo virtuoso dove la formazione di base fornisce lo stimolo per innescare processi di formazione continua, migliorando in questo senso la qualità della cura del paziente.

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