Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Ecco come contrastare i populismi. La lezione di Eichengreen

Il 10 e 11 dicembre, alla Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma si sono tenute le due lezioni magistrali in memoria di Federico Caffè promosse ogni anno dai suoi allievi. Quest’anno sono state tenute da Barry Eichengreen dell’Università della California a Berkeley ed hanno avuto un argomento di grande attualità: il populismo.

Eichengreen è uno studioso da anni in odore di Premio Nobel. È principalmente uno storico dell’economia, soprattutto di quelle monetaria, ma i suoi interessi scientifici hanno spaziato e spaziano in varie aree della disciplina. È stato consigliere del Fondo monetario nel 1997 e 1998, ma si è distaccato dall’istituzione in polemica con alcuni aspetti delle sue politiche. Negli anni del percorso, in Europa, verso l’unione monetaria è stato, come altri economisti americani (e non solo), critico dell’approccio seguito in termini sia di tempistica sia di metodo e procedure.

Non intendo riassumere il contenuto di quattro dense ore di lezione, seguite con molta attenzione da oltre cinquecento docenti e studenti, ma solo prendere spunto da alcune riflessioni utili ad interpretare il fenomeno dei populismi e a delineare se e come contrastarlo.

Eichengreen mette correttamente l’accento su come il populismo non è né un fenomeno nuovo né tipicamente o prevalentemente europeo. Tratta, fin troppo ovviamente, dei populismi che hanno travagliato e travagliano l’America Latina, ma scava nella casistica, peraltro poco citata e forse poco conosciuta nel Vecchio continente, dei populismi che hanno caratterizzato vari momenti della storia politica ed economica degli Stati Uniti. Sottolinea come il populismo è, in gran misura, uno “stile politico” in cui i leader si presentano come espressione della “gente” contro l’establishment usano strumenti e modi di comunicazione differenti da quelli dei politici di professione: interessanti gli esempi di leader populisti nord-americani che hanno utilizzato le ferrovie e la radio (invece dei media tradizionali) per veicolare i loro messaggi.

Riprendendo studi di Rudiger Dornbusch e Sebastian Edwards (sull’America Latina), Eichengreen evidenzia come il populismo metta l’accento sulla distribuzione piuttosto che sullo sviluppo del reddito e de-enfatizzi i rischi d’instabilità economica derivanti dagli aumenti della spesa pubblica e degli interventi dello Stato e degli enti locali nell’economia.

Determinanti economiche (crescita economica bassa o nulla o negativa, aumento delle disparità, disoccupazione) sono all’origine del populismo. È raro, però, che le politiche economiche populiste riavviino la crescita e riescano a ridurre le disuguaglianze.

Eichengreen mette in evidenza come la risposta ovvia sia il miglioramento dell’istruzione e della formazione per rendere occupabili coloro che restano indietro o finiscono ai margini. Questa è la ricetta che gli economisti generalmente propongono per ridurre l’impatto sui lavoratori non professionalizzati in fasi di progresso tecnologico e d’integrazione economica internazionale. La stessa Banca mondiale nel suo primo rapporto sulla povertà nel 1990 poneva l’accento su queste determinanti perché “i poveri non hanno altro da vendere che il proprio lavoro”. Eichengreen aggiunge che le politiche contro le segregazione economica e residenziale sono essenziali per contrastare il populismo.

Sono meglio attrezzati gli Stati Uniti o l’Europa a fare fronte alla sfida populista? Difficile rispondere: gli Usa hanno l’esperienza dell’assimilazione degli immigrati, per l’Europa “non vedo necessariamente l’intervento pubblico come un problema invece che come una via per soluzione” anche se “in Paesi come l’Italia crescono i dubbi sulla competenza e le buone intenzioni” dei leader (populisti).

×

Iscriviti alla newsletter