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Un’idea alta di politica industriale

Il Paese ha la necessità vitale di rialzare la testa. È proprio questo anelito alla vita che si coglie nel diario scritto da Antonello Di Mario: si tratta di pagine unite da un comune denominatore, cioè quello certezza che attraverso il lavoro industriale e la produzione a esso collegata sia possibile dare un serio contributo a risollevare le sorti del Paese. L’autore di questo libro ne sa qualcosa avendo seguito per diciotto anni la comunicazione sindacale del mondo metalmeccanico e avendo intrapreso da quest’estate la cura della comunicazione integrata riguardante la Uiltec nazionale. Insomma, l’esperienza maturata precedentemente e quella attuale dimostrano che esistono le potenzialità per uscire dal guado in tempi celeri imboccando la strada della ripresa civile ed economica in ambito nazionale. La crescita civile sta nel senso di ritrovare il gusto dell’agire comune, evitando personalismi e scelte di convenienza individuale, operando al servizio della comunità. Per quanto riguarda la crescita economica occorre, da un lato, scegliere la via degli investimenti pubblici e privati a favore delle strutture materiali e immateriali di questo Paese; dall’altro, è indispensabile che i medesimi investimenti prendano la via della rinascita industriale e di quella manifatturiera, in particolare.

Tutto questo risalta in modo nitido nella lettura del libro, insieme alle scelte che bisogna fare. L’Italia, tra le altre cose, abbisogna di un grande piano per la ricostruzione e la salvaguardia delle opere pubbliche; ma c’è soprattutto necessità di una determinazione precisa e dettagliata della politica industriale che si intende praticare in Italia. Occorre cambiare paradigma nelle politiche di sviluppo e innovazione nel senso finora indicato: bisogna creare un rapporto diverso con il territorio, avviando quel piano di opere pubbliche che metta in sicurezza il Paese e iniziando a riconvertire l’industria verso quelle tecnologie che consentano un maggior equilibrio ambientale. Per quanto concerne, invece, le scelte di politica industriale, risulta strategico favorire gli investimenti privati, soprattutto di gruppi stranieri, verso le diverse aziende nazionali che si sono affermate sui mercati esteri e che hanno riportato qui da noi tante produzioni precedentemente delocalizzate all’estero. Addirittura, grandi imprese straniere sono venute a investire in Italia, come dimostrano molti esempi nel campo del settore industriale, in quelli della chimica e della farmaceutica, come in molti altri del comparto manifatturiero. I segnali di ripresa, anche se timidi rispetto agli altri competitor europei, giungono proprio dal succitato versante. E sono gli investimenti privati, in particolar modo quelli provenienti da fuori dell’Italia, che possono costituire il vero carburante per far accelerare il motore della crescita manifatturiera, garantendo immediatamente produzioni e lavoro.

È bene sottolineare un paio di esempi riguardanti l’industria chimica e quella farmaceutica. Nonostante delle turbolenze in ambito finanziario e geopolitico, per l’industria chimica continuano a esserci previsioni di crescita in ambito produttivo in linea coi parametri europei e nell’ambito delle esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti. L’industria farmaceutica va ancor meglio: crescono produzione, investimenti, esportazioni, occupazione. Questo trend si è consolidato ancor di più nel 2017 e presenta prospettive ottime per l’anno in corso.

Le imprese della chimica e del farmaco sono di fatto un patrimonio industriale che può rappresentare il vettore per il rilancio
dell’intero comparto manifatturiero. Però bisogna agire in tempo utile. La Banca d’Italia, a luglio, ha reso noto che nei primi tre
mesi del 2018 le imprese manifatturiere hanno ridotto gli investimenti materiali e immateriali. Poi, c’è stata una ripartenza degli investimenti stessi.

Infine, si è registrata un’ulteriore stasi rispetto a un quadro economico in difficoltà e all’attesa sull’evoluzione della domanda interna e di quella estera. Questo stop and go limita i potenziali benefici rispetto agli investimenti finora adottati. Quindi, non bisogna perdere gli effetti di quel poco di ripresa che c’è; si deve ampliare il ciclo di investimenti a favore di opere pubbliche e dell’industria manifatturiera; occorre alleggerire il peso fiscale che grava sui lavoratori e sulle imprese; è una scelta vitale mantenere in Italia gli investimenti delle imprese estere e attrarne di nuovi. Si tratta di azioni che ristabiliscono quel senso della prospettiva di cui l’Italia ha un’estrema necessità e che nel libro di Antonello Di Mario sono narrate con efficacia. Ci vuole un’idea alta di politica industriale e l’autore riesce a proporla con semplicità, chiarezza e competenza.


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