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L’Europa (più sicura) di Volt raccontata da Andrea Venzon

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L’Italia è illiberale? A questa domanda hanno provato a rispondere i giovani, e meno giovani, di Volt nel corso di un convegno che ha visto la partecipazione di Beatrice Covassi, capo della rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Marco Bentivogli, segretario Generale Fim Cisl, Davide Giacalone, vice presidente Fondazione Einaudi, Elisa Serafini, presidente forum economia innovazione, Luisa Trumellini, segretaria generale Movimento Federalista Europeo e Andrea Venzon, presidente di Volt Europa.

Volt è un partito politico transnazionale di matrice progressista ed europeista, alle prossime elezioni europee di maggio vuole presentarsi sotto una sola bandiera in diversi paesi dell’Unione. Un esperimento interessante e che va controcorrente rispetto all’ondata sovranista che sta attraversando tutti i Paesi europei.

Al termine della conferenza, Formiche.net ha parlato proprio con Andrea Venzon, il giovanissimo presidente di Volt Europa, delle prossime sfide del suo partito e di come fronteggiare, anche dal punto di vista ideologico, chi nell’Europa ci vede un moloch da abbattere.

Perché secondo lei l’Italia è illiberale?

Per più di una ragione. Ogni anno vanno via dall’Italia più di 300mila persone. Mancano opportunità, mancano diritti e manca anche la democrazia.

Un esempio?

Moltissimi giovani non sono retribuiti per le mansioni che svolgono, pensiamo a tutti gli stagisti e ai praticanti avvocato, e anche quando sono retribuiti lo sono molto poco. Noi vogliamo proporre un salario minino europeo che sia lo stesso da Canicattì a Stoccolma.

A quanto ammonterebbe il salario minimo?

Ci stiamo lavorando. Pubblicheremo i nostri studi entro gennaio.

Perché parla di mancanza di democrazia?

Perché è difficile accedere alle libere elezioni. Noi dobbiamo raccogliere 150mila firme per candidarci, 3mila per Regione. Noi ci stiamo attivando ma pensiamo che sia un’indecenza.

Parliamo del cuore del vostro programma politico. Credete che l’Europa vada riformata?

Assolutamente sì.

In che modo?

L’Europa è un progetto fantastico che ha portato tantissimo a questo continente ma ci sono punti da rivedere. Spesso prevalgono gli interessi nazionali a scapito di quelli del continente ed è un progetto molto elitario. Pensiamo al progetto Erasmus, puoi farlo solo se vai all’università e se puoi permettertelo. Noi pensiamo che dovrebbe essere esteso anche al liceo e anche per i professori. Per questo il primo capitolo del nostro programma per le europee di maggio è tutto concentrato sulla riforma dell’Unione Europea, affinché diventi più forte con una vera unione politica, capace di parlare con le altre potenze mondiali. Immaginiamo un’Europa più sicura perché fatti come quelli di Strasburgo non dovrebbero ripetersi. È impensabile che criminali possano spostarsi tra i vari Paesi e sfuggire ai controlli di polizia è impensabile. In tre parole: intelligence europea, confini europei ed esercito europeo.

Non c’è il rischio che la ricerca di maggiore sicurezza porti al superamento di Schengen?

Non credo che la criminalità si fermerebbe in questo modo. In Europa la mobilità è fondamentale, ci muoviamo come se fossimo in un unico campo da gioco se decidessimo di tirar su, nuovamente, i confini sceglieremmo di privarci della libertà di movimento. La risposta per una maggiore sicurezza sta nella collaborazione tra i vari Paesi, se ci fosse una polizia unica l’attentatore non sarebbe stato segnalato da più forze dell’ordine ma da una sola, capace di controllarlo meglio.

Che speranze ha una forza europeista come la vostra di accattivare l’elettorato al tempo del sovranismo?

Prima di tutto secondo gli ultimi dati dell’Eurobarometro il 64% degli italiani sono europeisti, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. La corrente sta cambiando, infatti Volt nasce dalla voglia di migliorare il progetto comune europeo, che va migliorato ma non distrutto.

Spesso le forze politiche europeiste sono associate a classi sociali alte, che vivono nelle metropoli e lontane dal cosiddetto “Paese reale”. Come pensate di far emancipare il vostro movimento da questi pregiudizi?

È stato il nostro primo pensiero, non vogliamo essere l’ennesimo movimento politico dei centri urbani. Abbiamo fatto un enorme lavoro per andare oltre i centri più grandi e ora siamo presenti in più di 50 città, anche piccole. Due settimane fa eravamo a Novi Ligure a sostenere i lavoratori della Pernigotti. Con me al tavolo c’erano due operai della Pernigotti, un ricercatore dell’Ospedale di Genova e un vigile urbano di Ovada. Tutti erano d’accordo con me nella necessità di riformare l’Unione Europea. La forza di Volt è stata quella di portarsi subito fuori dal centro delle città, dalle università e dalle élite perché altrimenti non ci può essere un futuro per questo progetto.

Un progetto simile al vostro, nelle intenzioni di sovranazionalità, ma opposto nei contenuti è quello di The Movement, il network internazionale dei sovranismi europei. Secondo lei, quella dell’internazionalizzazione, è una strada praticabile da tutti?

Noi e The Movement abbiamo solo la stessa vocazione internazionale. Poi quello che succede nella realtà è che non appena c’è un conflitto tra Stati il fronte sovranista si sfalda. Orban non ci aiuta con i migranti, Kurz chiude le frontiere e Salvini incolpa i francesi. Se vuoi creare un partito sovranazionale devi credere nella comunanza del popolo europeo.

Quindi non è vero che esiste l’Europa dei popoli?

No, no esiste. Ma esiste nella misura in cui noi siamo sia italiani che europei.

Ci sono partiti italiani o europei ai quali guardate o vi ispirate?

In Italia no. Crediamo che i partiti esistenti, anche quelli vicini a noi ideologicamente, stanno sbagliando le regole del gioco. Non si può fare politica in maniera tradizionale, è necessario che le persone si sentano coinvolte. Il grosso limite della politica italiana è che i partiti tradizionali sono torri d’avorio, in piazza la gente sta male davvero e lì ci trovano solo partiti estremisti che propongono slogan e non soluzioni. Volt può essere la scala tra la piazza e la torre e al Parlamento Europeo vorremmo andarci da soli e non far parte di un raggruppamento preesistente.

Neanche “En Marche” può essere vicino a voi?

En Marche era nato con un afflato simile: europeo, propositivo. Poi si è rivelato un partito che parla solo alle classi più abbienti, i suoi elettori si situano in una fascia di reddito medio-alto. Noi siamo più trasversali; abbiamo studenti, disoccupati, operai e professionisti.

Avete sedi territoriali?

Stiamo aprendo uffici a Roma e a Milano ma non disponiamo di grandi risorse economiche.

Chi vi finanzia?

Abbiamo un crowfunding continuo sulla nostra pagina Facebook. E poi ci siamo autofinanziati. Ora in campagna elettorale cercheremo fondi più importanti. Fortunatamente in Italia, data la pochezza del panorama politico attuale, ci sono tanti imprenditori e privati disposti a dare una mano.

In che rapporti siete con “+Europa”, il partito più europeista dello scacchiere politico italiano?

Abbiamo fatto qualche evento insieme e “sedotto” qualcuno dei loro aderenti. Sicuramente è un partito che porta avanti battaglie coerenti con le nostre ma ha il limite di essere nazionale. Il nostro vero elemento caratterizzante è che portiamo avanti lo stesso programma in ogni Paese europeo, siamo l’unica chance di riformare l’Europa.

Però ogni Paese ha la propria specificità.

Assolutamente. Infatti noi lavoriamo sulle migliori pratiche, non siamo ciechi.

Se dovessi scegliere una sola politica da utilizzare come arma di seduzione per affascinare l’elettorato?

Il salario minimo europeo che dia dignità ai lavoratori.

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