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LA PACCHIA DELL’EX TERRORISTA CESARE BATTISTI È GIUNTA AL TRAGUARDO!

Primo passo per l’estradizione dell’ex membro dei Pac verso l’Italia

 

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(fonte foto: https://zon.it/cesare-battisti-lex-terrorista-sparito/)

 

Finalmente, il Brasile ha dato il via definitivo alla estradizione dell’ex terrorista Cesare Battisti dopo anni di duro braccio di ferro tra l’Italia e le autorità brasiliane, quest’ultime che facevano valere le loro ragioni giuridiche sul piano interno. Il nodo giuridico si può dire che è giunto al suo scioglimento, grazie alla promessa resa concreta del neo Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che lo aveva annunciato durante la sua campagna elettorale.

La vicenda di Cesare Battisti pareva non avere fine. Sembrava di assistere a un match tra due squadre costituite dall’Italia e dal Brasile, dove non si riusciva a portare a termine questa ridicola disputa che durava ormai da molti anni. Controversia che poteva essere risolta rispettando il trattato bilaterale sulla estradizione firmato e reso applicabile e uniformato nei rispettivi ordinamenti di entrambi gli Stati.

La decisione adottata dal Brasile, secondo cui l’ex terrorista Cesare Battisti era da considerare un rifugiato politico, secondo l’ordinamento brasiliano che si poggiava sulle fondamenta della Convenzione internazionale sullo statuto dei rifugiati del luglio 1951, poneva in risalto delicati problemi giuridici.

Essa dava, infatti, un’interpretazione estensiva della Convenzione del 1951, tanto da fondarsi non sull’accertamento di un timore concreto di fumus persecutionis, bensì sulla considerazione che esistevano dubbi ragionevoli sui fatti che, dal punto di vista del ricorrente, erano alla base della sua paura di essere perseguito. Sia ben chiaro che la Convenzione sottolinea requisiti minimi per l’ottenimento di status di rifugiato e non preclude che uno Stato contraente accolga sul proprio territorio come rifugiati anche altri soggetti, sulla base di un accertamento meno rigoroso della fondatezza del timore di persecuzione, presentata dalla persona coinvolta.

Questa libertà di apprezzamento viene circoscritta nel momento in cui vige un altro trattato o accordo, che prevede un accertamento più scrupoloso, imponendo in sua assenza il vincolo di estradizione verso un altro Stato. Infatti, è in vigore il trattato bilaterale di estradizione stipulato dall’Italia e dal Brasile il 17 ottobre 1989 e ratificato e reso esecutivo dall’Italia con la legge di ratifica il 23 aprile 1991, n. 144 (vigente dall’agosto 1993), nel quale l’estradizione, ai sensi dell’articolo 3 lettera f, può essere rifiutata solo se la parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona da estradare verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti.

La norma implica un giudizio non di mera possibilità, ma almeno di probabilità di persecuzione. Il coordinamento degli obblighi internazionali che gravano sul Brasile e secondo la Convenzione del 1951 – accordo valevole erga omnes – e al trattato bilaterale del 1989 (legge 144/91) poneva la richiesta di evitare un’interpretazione estensiva della prima al fine di evitare la violazione della seconda.

Quindi, la decisione del governo brasiliano avrebbe dovuto negare l’attribuzione di qualità di rifugiato politico, oltre i requisiti minimi enunciati dalla Convenzione del 1951, che richiedono l’accertamento di un timore sostanziale del fumus persecutionis, del tutto infondato nella specie, che è giuridicamente viziata ed in violazione di un preciso obbligo internazionale.

Questo Trattato bilaterale prevede, quale unico limite alla estradizione derivante dalla tipologia di pena inflitta, esclusivamente la pena capitale – stabilendo, all’articolo 4 che, nel caso in cui il fatto per il quale l’estradizione è richiesta sia punibile con la pena di morte, essa può essere concessa solo nel caso in cui la parte richiedente dà assicurazione che la pena capitale non verrà inflitta o eseguita – e, ciò nonostante, il Governo italiano, di ciò richiesto dalla Procura generale del Brasile, aveva dato assicurazione che l’ergastolo non sarebbe stato scontato integralmente e che la carcerazione di Battisti non avrebbe superato i trenta anni.

Un altro punto molto importante da porre in rilievo è che, nel 2008, persino il Comitato nazionale per i rifugiati, organo del ministero della Giustizia brasiliana, competente ad esaminare le richieste di asilo politico, aveva respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato politico avanzata dai legali di Cesare Battisti al fine di non rendere concreta l’estradizione. Il governo del Brasile, al contrario, asserì che il rifiuto di estradizione troverebbe fondamento, in primo luogo, nella lettera b) dell’articolo 3 del Trattato di estradizione, che preclude l’estradizione nel caso in cui il fatto, per il quale essa viene richiesta, sia considerato dalla parte richiedente reato politico (diventa incomprensibile come l’omicidio premeditato o la rapina a mano armata possano essere definiti reati politici unicamente perché commessi a fine di terrorismo o al fine di finanziare un’organizzazione eversiva, ciò che rende del tutto incongruenti i paragoni formulati da esponenti del Governo brasiliano, durante la presidenza di Luoz Inácio Lula da Silva, con il rifiuto dell’estradizione di ex dittatori opposto in altre circostanze nel 2010). In secondo luogo, nella lettera c) dello stesso articolo 3 che inibisce l’estradizione nel momento in cui la parte richiesta manifesti fondate motivazioni per ritenere che la persona, di cui viene richiesta l’estradizione, possa essere sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, religione, sesso, nazionalità, lingua, opinioni politiche o condizioni personali o sociali, con ciò dando udienza ai farneticanti timori espressi da Battisti per la propria vita in caso di estradizione in Italia e che, sino a qualche anno fa, continuava a ribadire.

Il Brasile nei confronti dell’Italia ha commesso già in passato – augurandosi che non continui per l’ennesima volta a prendere in giro il nostro Paese con il tira e molla ossia con questo infinito valzer – una grossa violazione del diritto internazionale andando contro la regola pacta sunt servanda (gli accordi vanno rispettati e onorati), sancito dall’articolo 26 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969, secondo cui “ogni trattato in vigore vincola le Parti e deve essere eseguito da esse in buona fede”, visto che il trattato di estradizione, entrato in vigore nel 1991, costituisce la fattispecie nella quale una regola generale del diritto internazionale fa discendere la conseguenza di obbligare sia il Brasile che l’Italia alla osservanza delle norme inserite nell’accordo.

Un altro punto che va evidenziato concerne la regola inadimplenti non est adimplendum (all’inadempiente non è dovuto l’adempimento), cioè in presenza di un trattato bilaterale, come in questo caso, una violazione sostanziale ad opera del Brasile autorizzerebbe l’Italia ad invocare la violazione come motivo per porre fine al trattato o sospenderne la sua applicazione. Quindi, il Governo italiano poteva adire la Corte Internazionale di Giustizia per violazione dell’accordo da parte delle autorità brasiliane (qui si è in presenza di una denuncia per mancanza di rispetto delle norme del trattato stesso). Infine, la regola di cui sopra enunciata, non può essere applicata alle disposizioni sulla protezione della persona umana presenti nei trattati di diritto umanitario, come l’esclusione di ogni forma di rappresaglia contro le persone protette da tali trattati.

Non poteva essere accettata, dunque, la posizione del Brasile con le sue motivazioni superficiali, rifiutandosi di consegnare il responsabile di quattro omicidi avvenuti negli anni settanta del secolo scorso sul territorio della Repubblica italiana, in quanto l’Italia è un Paese garante, visto che ci sono le norme costituzionali che danno piena garanzia a ogni cittadino, nel totale rispetto delle norme dei diritti dell’uomo. In ogni modo, la speranza di estradare il Battisti è divenuta realtà, dato che era ancora  nelle mani del Tribunale supremo federale brasiliano, che aveva sospeso la procedura di estradizione, affinché facesse prevalere le norme contenute nel trattato bilaterale sulla estradizione e non quelle dell’ordinamento interno brasiliano. Nel caso in cui il Tribunale supremo federale avesse deciso per la non estradizione di Battisti, allora le autorità governative italiane avrebbero potuto proporre a quelle brasiliane la stipulazione di un accordo ad hoc che avesse come oggetto la carcerazione del Battisti in un carcere di massima sicurezza del Brasile.

Il giudice supremo del tribunale federale, Luis Fux, ha infatti emesso un ordine d’arresto. Viene revocata così formalmente una misura a favore di Battisti che era stata disposta qualche anno fa. La richiesta di arresto può essere già essere eseguita, anche se l’ex terrorista  Battisti potrà presentare il ricorso alla Corte Suprema per una eventuale estradizione. Si spera che questo lungo valzer tra l’Italia e il Brasile, questa volta, abbia il suo “the end”.

GIUSEPPE PACCIONE



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