Le “pagelle” sono l’appuntamento stucchevole di fine anno di quotidiani e commentatori politici. Non mi sottraggo al gioco, vorrei però che non mi si prendesse troppo sul serio. Ma anche un poco sì. Nel dare un voto, accompagnato da un breve giudizio, ai protagonisti della nostra (a volte surreale) quotidianità politica, ho tenuto dietro alla “realtà effettuale della cosa”: cioè all’efficacia e alla capacità di azione politica, non alle idee e men che mai a schemi ideologici ormai esausti. Tenendo soprattutto conto delle condizioni di partenza, favorevoli o no.
MATTARELLA
Ha gestito male le consultazioni, non rendendosi conto che per un “governo tecnico” non c’era più spazio: gli italiani sarebbero insorti e così pure i mercati. Il suo interventismo si è limitato a sbarrare la strada a Paolo Savona: un “salvafaccia” che non ha però cambiato i termini della questione. Mattarella, per ruolo e funzione, dovrebbe dare tranquillità e serenità. Ha il pedegree giusto per farlo, ma non sempre riesce a farlo sembra troppo sintonizzato sui tempi passati. 5
DI MAIO
Ha molto detto e molto si è contraddetto. Ha subito l’iniziativa di Salvini e quella, forse più insidiosa, dei dissidenti interni al Movimento. Ci ha messo la faccia e se l’è giocata. Per il futuro personale non sembra avere molte chance. Quanto a quello del Movimento si vedrà. 5
SALVINI
Non ha sbagliato una mossa e si è dimostrato leale all’alleato anche quando non gli era conveniente esserlo. La sua politica si gioca su una serie di azzardi, e finora la “fortuna” di machiavelliana memoria lo ha aiutato. Quanto alla “virtù” politica, quella certo non gli manca. Sembra aver vinto su tutti i fronti (centrodestra, governo, opinione pubblica), ma si muove su un terreno pericoloso e malfermo. Il coraggio certo non gli manca. 9
CONTE
Sulla carta più che il “notaio del popolo” sembrava dover essere il passacarte dei due vicepremier. Assoluto sconosciuto e per di più inesperto e senza una forza politica alle spalle. Aveva pochi spazi di manovra, ma anche lui, in una situazione ancora più difficile di quella di Salvini, ha saputo giocarsi benissimo le sue carte. Tranquillizza il suo aplombb istituzionale, anche se non paludato e dal vago tratto dandy. Quando dice “orgoglioso di essere populista” (ancora nella conferenza stampa di fine anno), dimostra che ha capito tutto dei nuovi tempi e che perciò non sarà disponibile ad operazioni di palazzo. 10
RENZI
La grande politica nasce quando gli interessi di parte, e persino personali, convergono con un interesse più generale in cui si riconosce una ampia fetta di elettorato. Quando però si comincia a diffondere fra gli elettori la percezione che a muovere ci sia solo l’interesse personale, e del proprio gruppo di fedeli, il politico ha solo una chance: scomparire per un po’ dai riflettori e riformulare la sua proposta Renzi ha seguito la strada opposta, e l’impressione è che ora giri a vuoto. 3
BERLUSCONI
È stato colui che più di tutti ha intuito negli ultimi trenta anni dove spirasse il vento della storia e cosa volesse l’elettorato da un politico. Questa volta però non è riuscito a capre cosa covasse fra gli italiani. Si è fatto in Europa garante di Salvini, ma Salvini lo ha sorpassato. Si è fatto una veste europeista proprio quando il “populismo”, con cui aveva sempre trafficato, tracimava. Quando un politico ha perso il ritmo dei tempi, e la spinta vitale, è finito. Berlusconi non ha il coraggio di ammetterlo e Forza Italia è ormai residuale. 2
In un anno il quadro dei protagonisti della politica italiana è cambiato radicalmente, e qualcuno come Conte è emerso dal nulla. A queste latitudini e di questi tempi, nulla è stabile e tutto è precario. È proprio vero: viviamo tempi difficili, ma anche molto interessanti.