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Perché James Mattis lascia il Pentagono

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Già logorato da diversi dossier, il rapporto tra il capo del Pentagono e il presidente non ha retto all’ipotesi di ritiro del contingente americano dalla Siria, troppo duro da digerire per l’ex generale dei Marines. “Hai il diritto di avere un segretario alla Difesa le cui visioni siano allineate meglio con le tue”, ha così scritto James Mattis a Donald Trump, comunicando la scelta di ritirarsi il prossimo 28 febbraio. Dall’inquilino della Casa Bianca sono arrivati i ringraziamenti per il lavoro svolto dal generale, che invece non ha risparmiato al presidente alcuni suggerimenti sulla gestione dei rapporti internazionali. Critico nei confronti del disimpegno dal Medio Oriente, favorevole alle linea dura contro la Russia per le azioni in Ucraina e sostenitore incondizionato della Nato, Mattis si presentava sin dall’insediamento con un curriculum di idee differenti rispetto a quelle del tycoon.

IL DOSSIER SIRIANO

D’altra parte, che le distanze tra i due fossero ampie era noto da tempo, tanto che a metà ottobre lo stesso presidente aveva lasciato intendere la possibilità di un cambio al dipartimento della Difesa: “È una sorta di democratico – aveva detto – è pieno di gente che potrebbe ricoprire tale ruolo”. Poi, l’allarme era sembrato rientrare, e dalla Casa Bianca era persino arrivato l’appoggio al Pentagono (imprevisto rispetto ad alcune precedenti uscite) alla maxi richiesta di budget per la Difesa per il 2020 da 750 miliardi di dollari. A far tornare il gelo è stata la Siria. Con un tweet, Trump ha confermato le indiscrezioni di stampa circa il piano per un ritiro dei duemila soldati americani presenti nel Paese. Il dipartimento della Difesa non ha potuto far altro che palesare il proprio disaccordo con il progetto del presidente, illustrando tutti i rischi di una scelta che lascerebbe campo libero a Turchia, Russia e Iran, tre Paesi con cui gli Stati Uniti non possono certo vantare ottimi rapporti al momento.

LE NOTE POSITIVE…

Divergenze importanti, che molti esperti hanno da subito ricondotto a un possibile ritiro di James Mattis. Ad anticiparlo è stato però Donald Trump, che con il solito e puntuale cinguettio ha ringraziato (in particolare “per i nuovi equipaggiamenti di combattimento”) il generale, da sempre considerato uno dei “normalizzatori” dell’attuale amministrazione Usa. Poco dopo, è circolata la lettera inviata da Mattis al presidente. Il generale si è detto “orgoglioso” dei progressi fatti negli ultimi due anni e degli obiettivi raggiunti tra quelli delineati nella National Defense Strategy. In particolare, le note positive si riferiscono al budget per la Difesa, aumentato considerevolmente dopo gli anni della sequestration di Obama, con 700 miliardi di dollari per il 2018, 716 per il 2019, fino alla suddetta maxi richiesta per il 2020. Poi, Mattis si è riferito anche all’ammodernamento dello strumento militare, ai lavori compiuti per incrementare efficacia e prontezza delle forze, nonché alla riforma delle pratiche di business, rese più rapide e snelle.

…E QUELLE NEGATIVE

Le note dolenti riguardano invece due punti: la gestione dei rapporti con gli alleati, e l’atteggiamento nei confronti dei competitor. Sul primo punto, il generale pare non aver gradito l’atteggiamento burbero e sprezzante che Trump ha avuto in numerose occasioni, a partire dall’ultimo summit della Nato a luglio, a Bruxelles. Allora, tra il dibattito sul 2% del Pil da destinare alla difesa e le tensioni con la Germania sui dossier energetici, per alcune ore si temette addirittura l’abbandono del vertice da parte del presidente. Un simile scenario si era d’altronde già manifestato in Canada durante il G7, con uno stile tutt’altro che diplomatico adottato dal businessman Trump, una vera novità nei rapporti internazionali.

LE PAROLE DI MATTIS SU ALLEATI…

“Come te, ho sostenuto fin dall’inizio che le Forze armate degli Stati Uniti non dovrebbero essere il poliziotto del mondo”, ha scritto Mattis. Eppure, ha aggiunto, “non possiamo proteggere i nostri interessi senza mantenere alleanze forti e senza mostrare rispetto per gli alleati. Dobbiamo usare tutti gli strumenti del potere americano per fornire difesa collettiva, compresa la disponibilità a una leadership efficace ai nostri alleati”. Poi, il riferimento alla “forza dell’impegno” dimostrata dagli alleati della Nato nella risposta agli attacchi dell’11 settembre, nonché il contributo offerto dall’Alleanza Atlantica alla coalizione globale anti-Isis.

…E COMPETITOR

Ancora più rilevanti sembrano però le divergenze sull’atteggiamento nei confronti dei competitor. “Credo che dovremmo essere risoluti, e non ambigui, nel nostro approccio verso quei Paesi i cui interessi strategici sono sempre più in tensione con i nostri”, ha spiegato Mattis, indicando esplicitamente Cina e Russia. “È chiaro che vogliono plasmare il mondo con il loro modello autoritario, acquisendo un potere di veto sulle decisioni economiche, diplomatiche e di sicurezza di altri Paesi”. D’altra parte, ha sintetizzato, “la mia visione sul trattare gli alleati con rispetto e nell’essere chiari circa gli attori malintenzionati e i competitor strategici è forte, frutto di un’immersione di quattro decenni su tali questioni”. Così, “poiché tu hai il diritto di avere un segretario della Difesa le cui visioni sono allineate in modo migliori con le tue, credo sia giusto che io mi ritiri”.

LA DATA DEL RITIRO

La data scelta è quella del 28 febbraio, così da lasciare a Trump il tempo per l’individuazione del successore senza causare vuoti di potere al dipartimento nei prossimi mesi. Proprio a febbraio ci sarà d’altronde la ministeriale Difesa della Nato, un appuntamento importante a cui Mattis non vuole mancare. La data inoltre, spiega l’ex generale nella lettera, permetterà anche di non sovrapporre la successione del segretario alla Difesa con quella del capo di Stato maggiore della Difesa, per cui è già stato individuato Mark Milley, destinato a prendere il posto di Joseph Dunford il prossimo ottobre. Nel frattempo, è già partito il toto-nomi per il post Mattis. Secondo alcune indiscrezioni già riprese da Foreign Policy, in cima alla lista ci sarebbe Tom Cotton, senatore repubblicano dell’Arkansas che presiede la sottocommissione Airland della Commissione Armed Service del Senato. Considerato tra i leader dell’ala dura del Partito repubblicano, Cotton era già nella lista dei candidati per la guida del Pentagono nel 2016. In passato, si è detto favorevole alla pratica nel waterboarding nel corso degli interrogatori, ma anche al cambio di regime in Iran.

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