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Note a margine della (amichevole) querelle Ferrara-Monda sull’educazione cattolica

Avendo solcato molto tempo fa e anche se solo per pochi anni le patrie aule nell’immane ruolo di insegnante di religione cattolica, ho letto con molto interesse sul Foglio la recente querelle amichevole tra Giuliano Ferrara e Andrea Monda, neo direttore dell’Osservatore Romano (a proposito, in bocca al lupo), avente per oggetto l’educazione cattolica. E debbo dire non senza un qualche rammarico come spesso mi capita da un po’ di tempo a questa parte, che ho trovato le ragioni di Ferrara molto più convincenti (e cattoliche) di quelle del suo interlocutore. Sì, è vero, Dio ci ha creati liberi. Ed è così perché ha voluto farci a sua immagine e somiglianza. Ma che c’entra questo con l’educazione? La libertà che Dio ha donato all’uomo non è fine a se stessa, non è una libertà ab-soluta, cioè sciolta da ogni legame e tale da autorizzare chissà quale indipendenza (ciò in cui ultimamente consiste, all’opposto, l’essenza stessa del peccato originale). Dio ha creato gli uomini liberi perché liberamente possano accogliere il disegno di Dio nella loro vita, in primis la chiamata alla santità. L’educazione, tanto più se cattolica, non può prescindere da questo che è un punto decisivo per inquadrare correttamente il discorso (come poi possa conciliarsi questo approccio con lo “statuto” dell’ora di religione che tutto è fuorché catechismo, e guai a fare confusione, è un altro paio di maniche). Per essere ancora più chiari: il principio di auto-determinazione, icona e totem della modernità che viene sempre evocato per ribadire che non esiste altra autorità al di fuori della propria ragione e volontà, non solo è lontano anni luce da ogni prospettiva cattolica ma anzi ne rappresenta la sua negazione. Anche per questo il riferimento di Monda alla libertà e, soprattutto, il suo approccio “demolitivo” (di cui peraltro mi sfugge il nesso con quanto dice prima: il fatto che in virtù della libertà possiamo dannarci, e che giustamente siccome siamo peccatori bisogna riporre molta più fiducia in Dio che in noi stessi, oltre al rischio di inclinare verso quel “pecca fortiter sed crede fortius” che ben conosciamo e che tanti disastri ha provocato, non autorizza alcuno scetticismo in ordine all’esistenza di verità oggettive da trasmettere) teso cioè a demolire ogni certezza fino al punto di affermare che ogni certezza è una falsa certezza, non solo è affermazione teoreticamente e teologicamente alquanto discutibile, ma soprattutto è un approccio pedagogicamente assai scivoloso perché può condurre i giovani verso quel relativismo la cui dittatura è la vera cifra dei nostri tempi. Un conto sono le dinamiche proprie della vita spirituale, che è fatta anche di periodi di dubbio, tentazioni e notti oscure come sa chiunque abbia una minima esperienza di queste cose; tutt’altra faccenda è elevare il dubbio a valore e metodo. Questo è un abito che calza a pennello addosso a quella modernità (non l’unica, Augusto Del Noce docet) che storicamente ha prevalso e nei confronti della quale la chiesa ieri come oggi sembra nutrire un inspiegabile quanto infondato complesso di inferiorità. Ma addosso a un insegnante di religione cattolica? Anche no, grazie. E poi, possiamo dirla tutta? Francamente questa storia del dubbio che fa tanto chic e della complessità del reale e della problematicità dell’esistenza e dei chiaroscuri eccetera eccetera eccetera, la trovo stucchevole. No, dico, ma Cristo  – quel Cristo che ha detto “Io sono via, verità e vita?” –  era uno che aveva dubbi? Non credo proprio. E allora qualcuno mi spiega perché dovremmo averli noi? Solo perché noi siamo poveri uomini e lui era (è) il Figlio di Dio? Suvvia, non scherziamo. “Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e ti alzerai“. Così recita il Deuteronomio, laddove quel “li ripeterai ai tuoi figli“, che già è chiaro, in altre traduzioni diventa “inculcalo ai tuoi figli“, a riprova della coscienza di Israele dell’importanza di trasmettere in modo fermo i valori della sua tradizione. Tra l’altro, e qui vengo alla premessa da cui è partito Monda, ossia il fatto che secondo lui, in disaccordo con Ferrara, “la chiesa attacca, non difende” (sic!), la Chiesa pretenderebbe di giocare all’attacco con l’arma spuntata del dubbio e della demolizione delle certezze? Stiamo freschi. A parte il fatto che questa cosa della Chiesa che attacca anziché difendersi, prendendo a prestito una stravagante interpretazione del “non praevalebunt” (sul punto, suggerirei la rilettura di un paio di omelie di tale Joseph Ratzinger, rispettivamente del 29 giugno 2012 e 2010, da cui si evince chiaramente che “portas inferi” sta a significare le potenze del male che premono per demolire la chiesa primariamente dal suo interno, cosa peraltro di evidente attualità), non mi pare di così immediata evidenza, il punto qui è un altro: vogliamo continuare ad abbassare l’asticella della fede alla statura dei giovani o magari provare ad alzare i giovani alla statura del Vangelo? 

 

 

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