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Di pensioni si muore. Un monito al governo gialloverde

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Di pensioni si muore era la traduzione letterale del titolo di un film americano che in Italia – se ricordo bene – arrivò nelle sale con il nome de I pensionati non mangiano bistecche. Eravamo nei primi anni del dopoguerra e la gran parte dei pensionati americani fruivano solo della social security, creata da Roosevelt nel 1935. La giovane social security comportava, e comporta ancora, contributi molto bassi ed anche trattamenti eseguivi: in America negli anni sessanta, Peter L. Bernstein (proprio l’autore del magnifico libro Capital Ideas), creò i primi grandi fondi pensione – innanzitutto quello della numerosissima categoria degli insegnanti – con cui affiancare la magra previdenza pubblica (ed i fondi di risparmio individuali) tramite solide previdenze integrative di gruppo.

Si usava dire di pensioni si muore quando nel 1958 debuttava il primo lavoro teatrale di Giuseppe Patroni Griffi, lavoro che per l’appunto intitolata “D’amore si muore”. Allora solo una metà degli italiani aveva titolo a fruire di previdenza, secondo un sistema categoriale che aveva dato vita a una cinquantina di “regimi” differenti. Tutto cambiò con la “grande riforma” del 1967-68, che – disse la Cgil – dava “agli italiani il sistema previdenziale più avanzato al mondo”, tale da assicurare all’età legale della pensione un trattamento (al netto di contributi e imposte) quasi analogo all’ultimo stipendio. Il sistema era così “avanzato”; dopo circa due anni venne insediata una Commissione (la Commissione Castellino) per rivederlo a fondo. Da allora si succedettero proposte che portarono nel 1989 alla separazione tra “assistenza” e “previdenza” nel bilancio Inps. Solo dopo la crisi finanziaria del 1992 e la caduta del primo Governo di quella che veniva chiamata la “Seconda Repubblica” si arrivò a trasformare radicalmente il sistema passando dal meccanismo retributivo a quello contributivo.

Nel contempo, nelle riunioni con Silvio Berlusconi era noto che si dovesse evitare di parlare di pensioni, La lettera “P” ricordava, a lui che ha viaggiato, studiato e parla le lingue, “La P…respectuese” (dove “P” sta per ‘Putain’) – un atto unico di Jean-Paul Sartre: nella Parigi dell’immediato dopoguerra, un militare afro-americano va alla ricerca di donne; trova una prostituta (d’altronde è proprio ciò che voleva) ed invece di fare sesso si intrattengono a vicenda in una lunga conversazione filosofica sul significato dell’esistenza e sui suoi limiti. La “P” ed ancore peggio vocabolo “Pensioni” gli rammentavano che nel 1995 venne sfrattato da Palazzo Chigi, non senza il compiacimento dell’allora Capo dello Stato, nel nome di “pensioni di anzianità”. Da allora, di pensioni si muore entrò nella fraseologia della politica.

Tuttavia, numerosi dei componenti dell’attuale governo “del cambiamento” erano ancora a scuola e non si ricordano il detto. Forse è utile che se lo rammentino oggi 22 dicembre 2018 mentre il Senato si accinge a varare – non si sa ancora se dopo esame in Commissione Bilancio e valutazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio – una legge di bilancio di cui pochi conoscono i dettagli.

Tuttavia, li conoscono per quanto le riguarda, le organizzazione dei pensionati (650.000 iscritti solo nelle categorie a trattamenti ritenuti elevati e soggetti ad un obbligatorio “contributo di solidarietà” e circa 10 milioni a cui l’assegno verrà rivalutato meno dell’andamento del costo della vita). Sono loro che hanno già tenuto due assemblee a Verona ed a Milano e che hanno fatto da volano alle proteste dei medici, a quelle del pubblico impiego, a quelle dell’edilizia ed a quelle delle piccole e medie imprese. Sono professionisti e lavoratori che hanno sempre operato e prodotto contribuendo non solo alla loro crescita professionale individuale ma soprattutto allo sviluppo del Paese. Sono inviperiti da misure che rappresentano un “taglio” dei loro trattamenti per trasferimenti a chi non ha mai lavorato o lo ha fatto soprattutto al nero o la cui professionalità si è formato in un contesto di occupazioni irregolari e di vendita di panini e bibite negli stadi. Ricorreranno alla Corte Costituzionale ed alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Sanno che queste misure sono un prezzo che la Lega (di cui, al Centro Nord, numerosi sono iscritti) alla controparte pentastellata nel contratto di governo.

Il vostro chroniqueur può solo registrate che si racconta che al Nord ci sono state riunioni di pensionati, medici e professionisti che hanno bruciato le loro tessere della Lega. Sotto un punto di vista, era proprio ciò che volevano i pentastellati, preoccupati dell’avanzare della Lega nei sondaggi settimanali. Da un altro, ciò indebolisce l’Italia in quanto proietta un’immagine di instabilità.

Speriamo che di pensioni si muore non finisca per riguardare l’Italia.


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