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Pensioni. In punto di voti e in punto di diritto

De Vito

Le ambasce del giovane vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio assomigliano ai goethiani golori del giovane Werther. Specialmente in materia di pensioni. La sua controparte nel contratto di governo, ma rivale alle passate elezioni ed a quelle in programma nel maggio prossimo, il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno (quasi dottore – gli mancano cinque esami alla laurea) Matteo Salvini sta portando a casa la “quota 100”. Anche perché, secondo le ultime analisi, solamente la metà degli aventi diritto la utilizzeranno, vista la forte caduta di reddito che comporta. Ci vorrà una Santa Alleanza tra San Gennaro, Santa Rosalia e San Padre Pio perché la rendita di cittadinanza finisca nelle tasche di qualche italiano prima del 2020. E i tagli alle cosiddette pensioni d’oro che il vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Di Maio pensava di mostrare come scalpo ai suoi potenziali elettori e come veicolo perché il suo rivale perdesse voti, si stanno dimostrando un boomerang sia dal punto di vista dei voti sia dal punto del diritto.

Veniamo ai voti. Subito dopo l’annuncio di Di Maio, al termine di uno dei tanti vertici a Palazzo Chigi, di aver ottenuto un forte taglio delle pensioni d’oro, le Federazioni aderenti a Cida e con Confedir, Assdiplar, diplomatici in pensione Sndmae, Forum dei pensionati e associazione nazionale dei magistrati e degli avvocati dello Stato in pensione, hanno organizzato per venerdì 14 dicembre un’assemblea al Teatro Nuovo a Piazza San Babila a Milano. Si tratta di associazioni con 640mila iscritti (ma che possono spostare due-tre milioni di voti). È un chiaro avvertimento alla Lega il cui leader ha sottolineato che il contratto di governo prevede ben altro di quanto vagheggiato da Di Maio. È difficile che la Lega possa restare insensibile alla sua base elettorale. Dato che i pensionati influenzano i loro più giovani colleghi in servizio pare rischiosa una misura che può accentuare l’irritazione dei corpi dello Stato e della magistratura.

Al sud, le cose non vanno meglio. I pensionati sono un architrave essenziale per il supporto delle famiglie ed incidono sul voto: dato che per la rendita di cittadinanza bisognerà aspettare Godot, mettere le mani nelle loro tasche può essere molto pericoloso. In molte regioni il voto è mobile e così come nell’arco di pochi mesi si è spostato dal centro destra al Movimento 5 Stelle (M5S) può correre velocemente là da dove è arrivato.

In punto di diritto la situazione è, quanto meno, molto ingarbugliata e non è certo utile irritare i magistrati che saranno chiamati a sbrogliarla. In Italia, ed in tutti i Paesi Ocse, le pensioni dei lavoratori sono finanziate in primo luogo dai contributi previdenziali dei lavoratori stessi e dei datori di lavoro pubblici e privati, con trattenute sulle retribuzioni durante il periodo di lavoro (quindi la definizione di retribuzione differita). La pensione legittimamente maturata dal lavoratore costituisce un diritto soggettivo costituzionalmente garantito, I trattamenti sociali sono sostenuti prevalentemente da trasferimenti dello Stato ad istituto di assistenza sociale. Attribuire ai pensionati una funzione di surroga in materia di assistenza non è concepibile in nessun Paese Ocse.

C’è il precedente del contributo di solidarietà previsto dall’art. 18, comma 22 bis del D.L. 98/11 convertito nella legge 111/11 ) o direttamente del sistema previdenziale (v. il contributo di solidarietà di cui all’art. 1, comma 486, della L. 147/13) così come la proposta in corso.

Questa sarebbe la terza volta negli ultimi otto anni dopo il contributo di solidarietà per gli anni 2011-2014 previsto dall’art. 18, comma 22 bis, D.L. 98/11 convertito nella legge 111/11 e quello per gli anni 2014 – 2016 previsto dall’art.1, comma 486 della legge 147/13. Nel tempo, questo terzo contributo riguarderebbe il quinquennio 2019 -2023.

La Corte Costituzionale nella sentenza 173/2006 ha ammesso la legittimità del contributo per gli anni 2014-2016 prescrivendo però che la legge deve assicurare precise condizioni “atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile” perché possa superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità a fronte di una deroga al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico maturato.

Nella sua esposizione la Corte indica con precisione ed insistenza le condizioni legittimanti il contributo di solidarietà riguardo a quello istituito dalla legge sottoposta nell’occasione a controllo: la ragionevolezza, la sostenibilità, la proporzionalità, l’eccezionalità, la non ripetitività, la natura di misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, il carattere di “ una tantum” , il perdurare di una crisi contingente e grave, condizioni considerate sia nella loro autonoma valenza, che nella loro combinazione. In breve, anche in un contesto di crisi del sistema previdenziale il contributo sulle pensioni costituisce una “misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo, e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”. Inoltre, il contributo di solidarietà deve essere utilizzato come “misura “una tantum”, mentre torna ad essere oggetto di previsione legislativa negli stessi termini. Il prelievo disposto degli anni 2014-2016 è stato ritenuto costituzionalmente legittimo “in quanto misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta”. Il prelievo deve essere sostenibile, incidere sulle pensioni più elevate, le aliquote non devono essere eccessive e l’operazione deve rispettare “il principio di proporzionalità” . L’intervento deve operare all’interno del complessivo sistema di previdenza ed essere imposto dalla “crisi contingente e grave” del predetto sistema. Contraddice apertamente quindi la “quota 100” che comporta maggiori spese a carico del sistema previdenziale.

In punto di diritto il taglio non solo appare incostituzionale e contrario ai principi giuridici di base ma suona come un’ammissione da parte del vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico che il Paese è sull’orlo dell’insolvenza. Attenti allo spread!

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