Cinquant’anni fa il sessantotto del “ce n’est qu’un début, continuons le combat!” scoppiava a Parigi e poi, con una capacità virale sbalorditiva in un tempo che non conosceva il moltiplicatore dello smartphone odierno, contaminava tutto il mondo. A chiusura di quest’anno di ricorrenze e ricordi Parigi torna ad infiammarsi. Parigi brucia, per citare un vecchio film di René Clément, e questa volta non sono gli studenti e gli operai uniti nella lotta ad appiccare il fuoco, ma frammenti di un popolo diviso e sfiancato che si versano per strada per gridare rabbia e frustrazione.
Qual è la differenza tra le due situazioni? Cinquant’anni fa una società ancora coesa, con stratificazioni identificabili e agganciate a paradigmi identitari molto netti – cultura operaista, della piccola borghesia e della medio/alta borghesia – vedeva l’irrompere di un soggetto sociale nuovo, quello di una giovane generazione che rivendicava un suo nuovo protagonismo sulla scena pubblica e si mescolava con l’ondata delle rivendicazioni legate ai nuovi diritti sociali. Oggi no. Oggi i “gilet gialli” esprimono una insofferenza, certamente, ma non una visione alternativa, un progetto politico, una diversa proposta di società. Sono pezzi esasperati da un rancore profondo di un popolo che fa fatica a trovare una ragione comune.
La verità è che si è frammentato il popolo e, fuori dal richiamo antagonista, “contro” il governo, l’establishment, il già visto, non si riesce più nelle democrazie contemporanee a ricomporre. Perché non c’è più una politica che lo faccia. Il compito della democrazia rappresentativa sarebbe proprio questo: portare a sintesi gli interessi plurali della società, ma se la politica, invece, cavalca l’insofferenza gridando ancora più forte e assecondando le linee di frattura che già destrutturano il corpo sociale, diventa complicato uscirne. Macron, che pure rappresentò un’uscita accettabile per il corpo elettorale chiamato a scegliere tra lui e la Le Pen, oggi rischia di essere la prima vittima della destrutturazione del popolo francese.
In Italia non siamo messi molto meglio: le linee di frattura hanno cancellato interi soggetti sociali, come la media borghesia, e chi è al governo ci è arrivato sospinto da pezzi di società animati da spirito antagonista, contestativo, radicale. Questo capitale elettorale continua ad essere alimentato con lo stesso carburante antagonista, contestativo, radicale, pena la perdita di consenso. Ma quanto potrà durare? E poi, non sarebbe una scelta di senso muoversi per una ricomposizione della società italiana, così lacerata e disillusa? Le democrazie poggiano sulla sovranità popolare. Ma perché funzionino ci vuole un popolo. Oggi pezzi di popolo, orfani della politica, galleggiano nell’iperuranio digitale urlando rabbia e infatuazioni provvisorie, aspettando che qualcosa succeda.
E, a differenza del sessantotto, i giovani, quelli veri, non i dilettanti infilati in Parlamento con le liste bloccate, sono andati a lavorare all’estero.