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L’Italia frena. Basta propaganda, please

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La nostra economia frena. È un fatto, incontrovertibile. Non è ormai neppure necessario dilungarsi, nell’analisi di dati che non possono essere interpretati, se non in questo modo. Detto che chiunque esulti per le difficoltà economiche del Paese è ispirato da improvvido tafazzismo, resta il tema di fondo: di propaganda si muore. Meglio, di sola propaganda. Perché una quota di narrazione è assolutamente scontata e persino doverosa. Il tema è sostituire l’analisi della realtà con la mera narrazione di parte. Quale che sia questa parte.

È impressionante come taluni errori si ripetano, nel panorama politico italiano. Sempre uguali a se stessi. Berlusconi raccontava una certa Italia, una determinata idea di crescita, alimentando il proprio consenso, ma anche un irriducibile odio politico. Renzi ha pagato, alla lunga, proprio quell’idea di nuovo e successo a tutti i costi, che infine gli ha alienato quella che sarebbe dovuta essere la sua stessa base elettorale. La maggioranza gialloverde rischia di cadere in un errore uguale e contrario: parlare solo all’Italia della rabbia senza se e senza ma, dimenticandosi che questa rabbia è stata alimentata proprio da quelle difficoltà economiche, che il governo rischia di non mitigare, ma persino peggiorare.

Difficile dire per quanto tempo ancora potrà bastare dare la colpa a chi c’era prima. Valga come monito Roma: passato un po’ di tempo e accumulatisi oggettivi insuccessi, continuare a dare la colpa agli altri è finito per diventare un boomerang. I tempi della politica di oggi si sono mostruosamente ristretti, come quelli economici e sociali. Tutto cambia a ritmi forsennati e se la narrazione berlusconiana ha contribuito a determinare quattro lustri di predominio politico, quella renziana è durata lo spazio di 1000 giorni.

Mettiamoci a lavorare, perché con la propaganda non si va da nessuna parte, neppure politicamente parlando. È il momento di soluzioni, coraggiose e magari condivise, perché le energie di questo Paese sono semplicemente straordinarie, ma sono anche sottoposte a una tensione globale, di fronte alla quale è obbligatorio una risposta di sistema. Il fai-da-te, che ha permesso alle nostre imprese di sopravvivere e prosperare, anche nei passaggi più delicati, oggi non basta più.

Lo dicono gli imprenditori, lo dicono quelli che ogni giorno riescono a battere la concorrenza straniera, pur partendo da dimensioni irrimediabilmente minori e zavorrati da una burocrazia e una tassazione senza il minimo senso. E se è vero che di questi elementi si può morire, è altrettanto vero che di sole chiacchiere non può andare molto meglio.

In tutti gli schieramenti, nessuno escluso, ci sono persone ragionevoli e sensate. È ora che si facciano sentire il più possibile.
Abbiamo ancora tempo e margini, ma scappano via ad una velocità persino superiore a quella dell’ultima narrazione e dell’ultimo tweet, sparati per spiegare goffamente dati, che hanno l’unico compito di suonare la sveglia. E anche l’allarme.

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