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Quattro sindache per quattro capitali. La rivoluzione rosa nella politica africana

Com’è ormai opinione largamente diffusa tra analisti e studiosi, l’Africa è il continente del futuro. Una delle zone del mondo che inciderà sul globo sotto tanti punti di vista.

La sostanza di questa affermazione, negli ultimi anni si è concentrata soprattutto con riferimento a tre aspetti evidenti agli occhi di tutti e centrali per “continente nero” e resto del globo: lo sviluppo economico; il fenomeno migratorio; l’invecchiamento della popolazione mondiale.

La scelta della Cina – potenza culturalmente e fisicamente più distante dall’Africa – che a luglio di quest’anno ha invitato a Pechino, nella “Sala del Popolo”, 50 dei 54 Stati africani in un unico appuntamento, testimonia tale centralità ed il valore che il governo di Xi Jinping assegna a quella parte del mondo, definendo investimenti e risorse in occasione del “III forum on China-Africa cooperation“. Tra prestiti, linee di credito, fondi speciali, sgravi fiscali e infrastrutture, saranno circa 60 i miliardi di dollari cinesi impegnati nei prossimi anni sul territorio africano.

Achille Mbembe, filoso e politologo camerunense che insegna a Johannesburg, spiega bene il perché di tutto ciò: “in meno di 30 anni l’Africa rappresenterà il 26,6% della popolazione mondiale e ciò è l’evento economico e culturale del XXI secolo”.

Considerare però questo luogo come uno scatolone grande e fermo, in attesa di essere riempito di strutture utili (anche) ad altri, sarebbe il rinnovo di un errore antico. Le rivoluzioni dei Paesi del nord Africa di qualche anno addietro, quel che accade in Libia ed Egitto, l’accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea dopo 20 anni di guerra, sono solo alcuni degli elementi che segnalano come l’Africa si muova e cambi.

Insieme a questi fatti, il 2018 consegna una (piccola/grande) notizia che riguarda il grande continente e che è importante per diversi motivi: apre una strada nuova; lo mette all’altezza degli occhi del mondo; segna un cambio di passo sociale e culturale; permette a questo pezzo di atlante di essere dentro la “rivoluzione globale” che spinge la presenza delle donne in ruoli apicali e di responsabilità.

Nell’anno che termina infatti quattro donne sono state elette alla guida di altrettante capitali di Stato africane. In ordine temporale: marzo 2018 Yvonne Aki-Sawyerr sindaco di Freetown capitale della Sierra Leone; 8 maggio 2018 Souad Abderrahim sindaco di Tunisi capitale della Tunisia; 18 maggio 2018 Rohey Malick sindaco di Banjul capitale del Gambia; ottobre 2018 Soham El Wardini sindaco di Dakar capitale del Senegal.

Nella dinamica globale/locale, quattro donne vanno a guidare città che sono, nei rispettivi Paesi, i centri player di territori che superano i confini fisici e amministrativi di competenza ed anche il simbolo di riferimento per popolazioni di interi pezzi di spazio africano segnando una innovazione che ha avuto un forte eco e crea aspettative sul futuro.

Vi sono da considerare inoltre tre aspetti che rendono particolare il tutto. a) La quasi contemporaneità che le “destina” ad iniziare insieme il mandato (Aki-Sawyerr a Freetown prima delle quattro ad essere eletta, precede di soli sei mesi “l’ultima” El Wardini a Dakar) ed essere quindi insieme “sindaco donna di una capitale africana”, non da singole mosche bianche nel continente nero ma componenti – involontarie – di un pool scelto dai rispettivi elettori. b) La “novità” che la loro elezione rappresenta sul terreno della parità di genere in uno dei luoghi del pianeta che deve ancora migliorare molto su questo versante. c) La spinta innovativa programmatica che ciascuna di queste nuove sindache propone alla propria città spingendole verso l’ammodernamento.

Rispetto a questo ultimo punto, vale la pena qua solo accennare a profilo e percorso che ha permesso a ciascuna di loro di essere oggi prime cittadine.

Yvonne Aki-Sawyerr sindaco di Freetown è laureata in economia alla London School of Economics ed è dirigente di “Idea”, compagna di investimenti infrastrutturali nel settore turistico in Sierra Leone. È nota per il suo impegno a supporto della popolazione con iniziative sia durante gli anni della guerra civile sia durante l’epidemia di ebola del 2014. Dal 2016 è stata responsabile del programma “President’s Recovery Priorities”, ambizioso piano di sviluppo promosso per rilanciare il Paese all’indomani della crisi post-ebola. Souad Abderrahim sindaco di Tunisi è una farmacista 54enne e pur essendo esponente del partito islamico “Ennhadha” è impegnata nella lotta alla discriminazione di genere. Già nel 2011 entrando nell’Assemblea che avrebbe redatto la nuova Costituzione tunisina dichiarava: “come donna, la mia presenza potrebbe essere una garanzia, una salvaguardia per i nostri diritti”. Adesso da sindaca, conferma: “essere il primo sindaco donna di Tunisi è un orgoglio per tutte le donne tunisine”. Malick Lowe a Banjul ha basato la sua campagna elettorale sulla riorganizzazione della città, proponendo una “leadership pragmatica e visionaria con una squadra progressista” e da sindaca si è detta pronta a far fronte alle difficoltà ereditate partendo dal risanamento delle infrastrutture, dell’economia e della sanità. Infine El Wardini a Dakar rappresenta una svolta veramente importante per il Senegal che, nonostante sia uno dei Paesi subsahariani mentalmente più aperto, mantiene ancora credenze culturali e sociali molto maschiliste e impedisce la crescita lavorativa e sociale di molte donne, soprattutto nelle periferie. Oggi quindi una speranza per i villaggi ma soprattutto un esempio per molte donne senegalesi, per far capire loro che è possibile migliorare e migliorarsi.

Nelle quattro città indicate, l’età media della popolazione è in linea con quella del resto del continente: giovanissima. Si va dai 18 anni di Dakar, ai 19 di Freetown, ai 24 di Banjul, ai 32 di Tunisi. Dati che risaltano ancor di più se si considera che gli Stati dirimpettai europei hanno una media continentale che gira intorno ai 42 anni. Il fattore anagrafico è importante perché mette in evidenza la possibilità, per chi guida una capitale di Stato, di intervenire con politiche concrete e riscontrabili su una popolazione giovane, che si forma e cresce e che avrà quindi la possibilità di incidere non poco sul futuro dell’intero Paese considerando anche che le aspettative di vita africana passano dai 57 anni di oggi ai 67 del 2050. Il fatto che i cittadini di quattro Paesi abbiano deciso di affidare la loro capitale “all’altra metà del cielo” è poi un ulteriore elemento positivo guardando al contesto globale che vede un forte protagonismo femminile nella politica con il più alto numero di sempre di donne elette nel Parlamento americano; sindache di metropoli globali come Parigi, Roma e Barcellona; vertici di governo alla guida di potenze globali come Inghilterra e Germania.

In Africa ciò avviene nel livello di governo delle città confermando queste come le realtà istituzionali più innovative e che precorrono i cambiamenti nei vari ambiti diversi. E’ in questo livello locale infatti che innovazione e cambiamento, rispetto a fenomeni globali, trovano un punto di atterraggio concreto attestando che proprio le metropoli su scala mondiale sono interpreti del futuro ed i loro primi cittadini dei soggetti politici protagonisti ben visibili e determinanti.

Insomma, nel primo ventennio del nuovo millennio, anche l’Africa prova a dare una piccola prova di parità che la riscatta da tanti ritardi e con il ruolo delle città che si conferma, anche a queste latitudini, di importanza rispetto agli altri livelli istituzionali di riferimento. Adesso tocca alle neo elette essere all’altezza del compito assegnato e, per questo risultato, il genere conta meno di impegno, idee e capacità che si è in grado di mettere in campo e dimostrare. Per uomini o donne.


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